Se davvero crede in Lamberto Dini, Berlusconi sbaglia

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Se davvero crede in Lamberto Dini, Berlusconi sbaglia

14 Novembre 2007

Nel 1995 a Lamberto Dini, già Ministro del Tesoro del Governo Berlusconi, non gli sembrò di star nella pelle per l’opportunità offertagli dal Presidente della Repubblica del tempo, Oscar Luigi Scalfaro, di sostituire Berlusconi alla presidenza del Consiglio dei Ministri. Fu così che l’ex Direttore Generale della Banca d’Italia, senza porsi problemi di legittimità, formò il suo governo, coi ministri suggeriti da Scalfaro e sostenuto da coloro che erano usciti perdenti dalle consultazioni elettorali dell’anno precedente, dando così vita al “ribaltone” più famoso della storia della Repubblica Italiana.

Se il leader di Forza Italia ritiene ora di poter contare su chi già una volta ha dato esempio di privilegiare l’ambizione personale alla legittimità degli atti, commette almeno due errori.

Il primo dei due è il rischio di trovarsi con un pugno di mosche in mano per la scarsa fiducia che il leader di Forza Italia dovrebbe avere verso chi già in precedenza non si è creato scrupolo alcuno. Se nelle scelte di Dini ci fossero ragioni politiche, piuttosto che ambizioni personali, non si capisce perché questi scrupoli giungono ora. L’ex ministro, prima di Berlusconi e poi di Prodi, era già pronto ad entrare nel PD e se ne è mantenuto fuori solo quando è stato reso evidente che il suo ruolo futuro sarebbe stato del tutto secondario se non marginale o nullo. Se l’ispirazione liberaldemocratica, che  Dini sembra ora voler rappresentare, fosse stata sincera, non si capisce perché portare le cose alla lunga: non sono mancate nei 18 mesi trascorsi di governo di sinistra-centro sia le circostanze, sia le scelte di spessore squisitamente politico in cui le istanze di scelte di rigore e di valenza squisitamente liberale sarebbero dovute emergere con chiarezza.

Il secondo errore di Berlusconi è di non considerare che contro lo scioglimento delle Camere esista un partito trasversale motivato dal timore di perdere l’indennità previdenziale per la mancanza del requisito della durata della legislatura. Cosa che invece Prodi sa bene tant’è che annuncia, come se fosse una minaccia, che la caduta del suo Governo porta dritto alle elezioni anticipate in primavera e cioè prima della maturazione del requisito richiesto. Non a caso Mastella, molto attento alle debolezze dei parlamentari, sembra essere diventato il più energico protagonista della compattezza della maggioranza. Ha sotterrato, per il momento, la sua ascia di guerra in attesa di circostanze migliori ed anche di cause più redditizie.

Non si sa se sia vero ciò che Berlusconi ha lasciato pensare per giorni. Ha fatto credere di disporre di un gruppo di senatori, delusi dall’immobilismo e dalla confusione della sinistra e persino spiazzati dalla nascita del Partito Democratico, pronti a passare dall’altra parte. E’ anche possibile che possa effettivamente accadere ma è stato un errore aver consentito ai media, sempre pronti ad enfatizzare i termini delle sue dichiarazioni, e senza immediate smentite, di far passare la data del 14 novembre come quella della caduta quasi certa di Romano Prodi. Se accadesse apparirebbe più una congiura di palazzo che l’implosione della maggioranza parlamentare. E’stato uno sbaglio che potrebbe rafforzare persino Prodi e la credibilità del suo governo, se invece non accadesse niente ed il voto finale sulla finanziaria passasse.

La caduta di Prodi non dipende dalle scelte di Berlusconi o di altri leader del centrodestra ma solo dalla eventuale sfiducia di una parte della sua maggioranza. Neanche le contraddizioni a volte sopra le righe tra i partiti ed i ministri riescono a dissolvere un Governo di così limitato spessore, nonostante il precipizio della popolarità e la inconsistenza di una proposta politica credibile.

La maggioranza e la compagine ministeriale hanno dimostrato di saper inghiottire ogni rospo ed ogni pietanza indigesta. L’impressione che si ha è che sia l’ultima spiaggia per la sinistra italiana. Il collante sta nel loro timore d’avere la difficoltà d’esser credibili. Sembrano invisi a tanti e considerati generalmente incapaci ed inadeguati, e soprattutto imborghesiti e privilegiati, componenti a vario titoli delle cosiddette “caste”. Questa consapevolezza rende concreta l’ipotesi che se questa classe dirigente di oggi, sia politica che di gestione, va a casa poi ci rimane per sempre.

La sinistra, infatti, oltre a dover scontare il prezzo della incapacità dimostrata, confina con larghi settori dell’antipolitica e le invasioni di campo, che si verificano, sono ora considerate non più solo fenomeni da mettere in conto quanto, invece, realtà quotidiana con cui fare i conti. Le manifestazioni organizzate dalle sinistre contro le scelte del governo non sono solo sintomi di un disagio di militanti, quanto prove dell’emigrazione a sinistra di fette di organizzazioni sociali e di espressioni politiche alternative della sinistra più radicale.

Il rafforzamento della maggioranza potrebbe coincidere sull’altro versante con l’indebolimento di Berlusconi. Le ripetute aspettative deluse di coloro che confidano nella possibilità di vedere soccombere questo governo rischiano di trasformarsi in disillusioni e criticità nella leadership dell’ex Presidente del Consiglio.

Per queste ragioni è stato un errore.