Se davvero il Governo ha gestito bene la crisi, ora abbassi le tasse

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Se davvero il Governo ha gestito bene la crisi, ora abbassi le tasse

Se davvero il Governo ha gestito bene la crisi, ora abbassi le tasse

30 Settembre 2009

L’aver bene gestito la crisi non è sufficiente ad allontanare lo spauracchio – e il reale rischio – di un collasso economico. Finora i dati rispondono tutti positivamente, a cominciare dall’occupazione che ha tenuto con una perdita dei posti di lavoro assai contenuta. Ma questo che potrebbe sembrare un traguardo, in realtà rappresenta soltanto la linea di partenza verso una nuova e dura sfida: la ripresa. La ripresa va sostenuta e incoraggiata. Mai come adesso c’è bisogno di fiducia. La crisi ha tolto ossigeno ai consumi e l’unico modo per riprendere fiato non può che arrivare da una riduzione delle tasse.

Diverse sono le ragioni che possono accreditare come giusta la scelta di ridurre le tasse in questo preciso momento. Vediamone alcune. Oggi lasciamo alle spalle il peggio della crisi, patito soprattutto con la riduzione dei posti di lavoro (per quanto contenuta), e all’orizzonte si profila la salita della ripresa che, se non opportunamente sostenuta, può affaticare il raggiungimento della vetta dei vecchi livelli di produzione nazionale (e, quindi, di occupazione).

Per sostenere la ripresa, in questo momento, non c’è altra via che quella di abbeverare la (giustissima) sete di defiscalizzazione di salari e redditi, che spinge l’acceleratore dei consumi. Finora, con ragione, il Governo ha rifornito di risorse economiche soltanto imprese, banche e lavoratori in difficoltà occupazionale. L’obiettivo deve ora essere puntato altrove. E’ il momento di rivalutare le retribuzioni, operazione che non può certo arrivare dalle imprese, ma soltanto da una riduzione del prelievo fiscale. Molti lavoratori oggi in cassa integrazione hanno come prospettiva del domani la mobilità, anticamera del licenziamento. In questo momento l’ancora di salvataggio del loro posto di lavoro non va gettata nel mare dei sostegni pubblici improduttivi (gli ammortizzatori sociali di vario tipo), ma piuttosto nella forza delle nostre aziende a riprendere la produzione ad alti giri, per farne conseguire il bisogno di nuova manodopera e così riavviare le ri-assunzioni dei posti di lavoro. Più che di una proroga della cig, dunque, le imprese hanno bisogno di nuovi ordinativi di produzione. Cosa che non può che arrivare dalla rivitalizzazione della domanda dei consumi. Come un disco incagliato, il Premier, Silvio Berlusconi, va ripetendo da tempo che gli italiani devono tornare a spendere per rilanciare i consumi e riavviare quel circolo virtuoso della ripresa economica. E’ vero. Mai come adesso è vero. Ma serve stimolare il consumo e la via obbligata è quella di rifornire di soldi i consumatori, riducendo loro il prelievo fiscale in busta paga.

Stando ai dati Ocse del 2008 (Rapporto sulla fiscalità), nell’Unione europea a 15 la pressione fiscale varia dal minimo del 32,2% (Irlanda) al massimo del 48,9% (Danimarca). L’Italia è al quinto posto: 43,3%, dietro a Francia (43,6%), Belgio (44,4%), Svezia (48,2%) e Danimarca (48,9%). Un dato noto al Governo, tanto da prevedere nel programma elettorale diversi interventi tesi a riequilibrare il livello raggiunti delle tasse “raggiunto con il governo Prodi”. Alcune di queste misure sono già state attuate (detassazione straordinari e abolizione Ici prima casa, per esempio); altri sono in cantiere tra cui la graduale detassazione delle tredicesime e la progressiva introduzione del “quoziente familiare”.

Uno speranzoso accenno d’impegno in questa direzione, da parte del Governo, sembra arrivi dalla Finanziaria per il 2010, appena approvata nel testo provvisorio. Si prevede, infatti, che le eventuali maggiori disponibilità di finanza pubblica che si realizzassero nel 2010, rispetto alle previsioni del documento di programmazione economica e finanziaria per gli anni 2010-2013 (Dpef), saranno destinate alla riduzione della pressione fiscale nei confronti delle famiglie con figli e dei percettori di reddito medio-basso, con priorità per i lavoratori dipendenti e i pensionati, al fine di fronteggiare la diminuzione della domanda interna. La Finanziaria rimanda il discorso al prossimo anno; forse, però, sarebbe necessario intervenire prima. Per anticipare ad oggi gli interventi servono risorse. I soldi ci sono. Ci sono gli extragettiti dello scudo fiscale: 4 miliardi circa su un rientro di capitali stimato attorno ai 200 miliardi, ma la cifra potrebbe salire a 6-8 miliardi se davvero, come sostenuto in questi giorni, lo scudo dovesse riguardare 300 miliardi o oltre. Ci sono inoltre gli extragettiti della riuscita lotta all’evasione fiscale: altri 4 miliardi di euro (al 15 settembre). Ma ci sono anche altre strade che potrebbero portare in cassa nuove risorse.

Non condivisibile (come lo scudo fiscale) ma certamente efficace potrebbe essere, per esempio, l’ipotesi di una regolarizzazione fiscale. L’ultimo condono tributario fruttò poco meno di 20 miliardi di euro (10 volte in più dello scudo fiscale). Due giorni fa, il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, ha affermato che il problema dell’evasione nel nostro Paese “ha carattere strutturale” e che “non è sceso, ma è salito nelle dichiarazioni del 2005, 2006 e 2007”. L’evasione fiscale è deplorevole sotto tutti i punti di vista. Ma se la sua presenza va facendosi “strutturale”, allora occorre fare qualche riflessione in più circa la capacità di sopportazione della pressione fiscale. Riflessioni che, nel contingente, vanno poste in relazione all’alto numero di imprese in sofferenza perché, complice la crisi e la stretta creditizia, non riescono ad onorare il pagamento dei vecchi debiti tributari, delle cartelle di pagamento rateizzate sugli accertamenti fiscali degli anni passati. Sono situazioni, queste, che possono degenerare e minare la sopravvivenza stessa delle imprese. 

Sul versante degli interventi, il programma di Governo, come si accennava, prevede la detassazione delle tredicesime e l’introduzione del quoziente familiare. Il primo intervento potrebbe essere una soluzione da attuare entro fine anno; il secondo da rinviare al prossimo anno in considerazione delle previsioni della legge Finanziaria.

Il costo della detassazione delle tredicesime si aggira attorno ai 10 miliardi di euro. Che finirebbero nelle tasche dei lavoratori, significando una rivalutazione della loro retribuzione misurabile attorno al 2%. Non è poca cosa.

A questa misura se ne potrebbe aggiungere un’altra: l’anticipo in busta paga delle detrazioni fiscali cui hanno diritto i lavoratori dipendenti e, in particolare, chi usufruisce del modello 730. La legge consente di ridurre gli acconti fiscali di novembre, laddove si preveda una riduzione del proprio reddito anche a motivo di nuovi oneri deducibili o detraibili. Ma per chi (come i migliaia di italiani che fanno il 730) non ha da fare acconti, il credito relativo alle eventuali spese detraibili e deducibili è incassabile soltanto a luglio dell’anno successivo.

Molti lavoratori, per esempio, utilizzano il 730 per recuperare gli interessi (una parte) pagati sul mutuo per la prima casa o per le spese mediche o per altro ancora. Allora una misura a basso costo per lo Stato (si tratterebbe di destinare risorse per la copertura del bilancio 2009, preventivando comunque un maggior incasso – di pari importo – per il bilancio 2010) potrebbe essere quella di consentire ai lavoratori e pensionati di richiedere ai propri datori di lavoro o istituti pensionistici il riconoscimento di un certo credito in busta paga (riduzione di tasse) per ottenere già a dicembre la somma di denaro che altrimenti incassano a luglio 2010.

In questo modo, lo Stato ci apprezza poco e – diciamo la verità – ai cittadini non arriva nulla “in più” rispetto ai loro diritti già riconosciuti: si tratta, infatti, di una semplice partita di giro. Un anticipo dei loro stessi soldi. Ma potrebbe essere un’efficace misura “tampone”: necessaria per stimolare i consumi oggi e per consentire di riflettere meglio (valutando anche il progredire della crisi) la rivoluzione fiscale che le famiglie (imprese e lavoratori) italiani si aspettano e che potrebbe prendere piede il prossimo anno.