Se Enrico Letta affossa la legge Zan

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Se Enrico Letta affossa la legge Zan

23 Marzo 2021

Il colpo più micidiale, definitivo, esiziale contro la proposta di legge Zan sull’omolesbobitransfobia, già approvata dalla Camera e in attesa di calendarizzazione in Senato, arriva da dove non ti aspetti. Non dal Vaticano, che pure ha recentemente ribadito il diniego alla benedizione ecclesiastica di coppie che non siano come Dio comanda. Non da Salvini agitatore di Rosari. Non dalla Meloni al grido di Dio, patria e famiglia.

Niente di tutto ciò. L’attacco frontale arriva direttamente dal nuovo segretario del Partito Democratico. Non sarà infatti sfuggita ai lettori dell’Occidentale (difficile del resto che possa essere sfuggita a chiunque, considerato lo spazio mediatico dedicato a questo tema di grande interesse pubblico e vitale per le sorti dell’umanità…) la battaglia campale intrapresa da Enrico Letta per la sostituzione degli attuali capigruppo parlamentari (uomini) con due donne.

Ebbene, come la mettiamo se le nuove designate il giorno dopo l’elezione si sentono maschi? Vale il riconoscimento dell’identità di genere di cui all’articolo 1 della suddetta legge Zan, intesa come “identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”? O fa fede la registrazione anagrafica? E, in tal caso, sarà valsa la pena di fare tutto questo casino solo per passare dalla dittatura del maschio italico alla dittatura dell’anagrafe che il prode Zan e i suoi seguaci si prefiggono di smantellare in nome del diritto ad alzarci la mattina e sentirci un po’ come ci pare?

Ovvio, trattasi di una celia e di un’ipotesi paradossale. Ma rende bene l’idea del cortocircuito nel quale le parole d’ordine del politicamente corretto rischiano di precipitare nel momento in cui – come assai spesso accade – si collocano su un piano tutto ideologico svincolato dal diritto naturale e anche solo da un mero dato di realtà.

La questione è semplice: la “sessualità fluida” e le “quote” insieme non possono stare, dal momento che le seconde si reggono su un’identità stabilita che l’ideologia gender nega in radice. Il tema, apparentemente banale, è in realtà assai profondo e si trova alla base della rottura sempre più clamorosa fra il mondo femminista e il mondo LGBT, e addirittura fra la “L” e la “T” di cui all’acronimo. Un esempio molto concreto è rappresentato dalla sempre più frequente ammissione dei trans nelle gare atletiche femminili: in nome dell’autodeterminazione sessuale, atleti che si proclamano donne gareggiano contro donne biologicamente tali sfidandole con corpi di uomini, su un piano di evidente disparità.

Questa è la ragione per la quale anche chi come noi ha sempre provato una certa allergia per le quote, ora le vive quasi con sollievo. Alle elezioni, ad esempio, esse significano che almeno nel periodo che intercorre tra l’accettazione della candidatura e la proclamazione degli eletti un candidato è costretto a dichiararsi maschio o femmina. Nel caso del Pd lettiano, vedremo come andrà a finire la disfida dei ruoli apicali. Purché di questa battaglia Enrico si ricordi quando i suoi compagni di partito proveranno a far passare la orrida legge Zan.