Se Fini è “super partes” come mai vuole così tanti consiglieri?

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Se Fini è “super partes” come mai vuole così tanti consiglieri?

12 Aprile 2010

Dopo Generazione Italia, FareFuturo, Charta Minuta e i consigli cultural-politici di Alessandro Campi, Angelo Mellone, Fabio Granata, Filippo Rossi e di tutti i “bordisti” di fondazioni e associazioni vicine al Presidente della Camera, ecco che spuntano come funghi i nuovi consiglieri di Fini.

L’elenco è presto fatto:

Il Foglio, Sabato 10 aprile 2010. "Accanto a Fini. Alla sinistra di Fini s’aggiunge l’intellò (inquieto) di Alemanno, Umberto Croppi": Assessore alla Cultura nella Roma di Gianni Alemanno, una vita nell’Msi da discepolo di Beppe Niccolai organico alla corrente culturale della Nuova Destra, poi animatore del Forum delle idee di An assieme a due personalità che avrebbero poi aderito alla conversione finiana (Alessandro Campi e Fabio Granata), Croppi oggi si lancia con un’associazione tutta sua. La presenterà giovedì prossimo a Roma, con Marcello Sorgi, Sergio Scalpelli, il finiano-radicale Benedetto Della Vedova e Giuliano da Empoli. Ma Croppi già anticipa al Foglio che la sua creatura sarà a disposizione di Fini e del suo progetto metapolitico: sono stato un suo avversario ma adesso mi trovo molto vicino alle sue posizioni sui diritti civili, sulle questioni etiche e sull’immigrazione . E’ un addio ad Alemanno e alla sua destra nazional-conservatrice? Croppi nega. Chissà.

Libero, sabato 10 aprile 2010. "Ferrara Cavaliere di Fini": Che ci fa Giuliano Ferrara a colazione con Gianfranco Fini e un altro paio di fedelissimi? Non solo per avviare la stagione riformatrice insieme, ma anche per preparare alla staffetta Quirinale-Palazzo Chigi. Ragionamento, questo, piaciuto parecchio ai piani nobili di Montecitorio. Risultato: è cominciato un percorso di avvicinamento tra i due, il politico e il giornalista, coronato da un pranzo tenutosi ieri nell’appartamento presidenziale della Camera. A tavola, con Fini e Ferrara, Italo Bocchino e Benedetto Della Vedova. Risvolti, discussioni, propositi? Inutile compulsare le vie ufficiali, si sbatte contro un muro di gomma. Del pranzo, non si doveva sapere nulla. Off the record, la mettono giù così, i finiani: «Alla fine Ferrara è l’unico, nel panorama editoriale di area centrodestra che non ha demonizzato le posizioni di Gianfranco. Che non l’ha tacciato di eresia o di tradimento. L`unico giornale, il suo, che si è sforzato di interpretare l`evoluzione del pensiero della terza carica dello Stato». Consigliere, Giuliano Ferrara? Naaaa…”.

Il Giornale, lunedì 12 aprile 21010. "Travaglio molla Di Pietro e ritorna da Fini". Bentornato a casa, Marco. L’avevamo sempre pensato che Marco Travaglio fosse un vero intellettuale di destra, e se a volte abbiamo avuto un dubbio, semmai era sul primo dei due termini, «intellettuale». Comunque, noi del Giornale, dove Travaglio guadagnò i suoi primi stipendi, pagati – ironia della sorte e nemesi del moralismo – dall’editore Silvio Berlusconi, lo sapevamo che prima o poi quel giovane reazionario, clericofascista e furioso anticomunista (partito da una posizione a metà strada fra l’Msi e il tradizionalismo cattolico ed approdato ad una in bilico fra il giustizialismo giacobino e il terrorismo mediatico) avrebbe percorso a ritroso la strada incautamente abbandonata per tornare nella sua vecchia casa. Giù in fondo, a Destra. Per un curioso e accidentato sviluppo di quel concetto che la filosofia chiama «eterogenesi dei fini», ossia il raggiungimento di esiti opposti a quelli che ci si era prefissi, il figliol prodigo è tornato a Fini. Chissà se lui lo rivede volentieri, poi. Ieri Marco Travaglio nel suo consueto editoriale sul Fatto Quotidiano ha dichiarato il suo futuro voto politico e ha investito ufficialmente il nuovo leader. Che non è più Di Pietro, e nemmeno De Magistris. Ma, appunto, Gianfranco Fini”.

Ma davvero il presidente della Camera ha bisogno di tanti consiglieri e non è in grado di elaborare un pensiero tanto originale quanto personale? Noi scommettiamo di no. Allora rimane un dubbio: come mai Fini necessita di tante teste d’uovo dal così marcato spessore culturale e politico se nelle sue intenzioni attuali c’è solo quella di svolgere al meglio il proprio ruolo super partes?