Se Franceschini vuol davvero dare un segnale dica sì al Ponte sullo stretto
11 Marzo 2009
Il Ponte sullo Stretto di Messina? Per Romano Prodi presidente dell’Iri la sua convenienza “è fuori discussione”. Non c’era convegno, intervista, dibattito, in cui il Professore non esaltasse il ruolo salvifico del collegamento stabile tra Sicilia e Calabria. “Dobbiamo recuperare”, sosteneva, “una cultura per le grandi opere pubbliche, finora è prevalsa la paura di prendere decisioni sulla cultura del fare”. A chi replicava: ma alla fine ci conviene farlo? Rispondeva snocciolando le cifre: “L’Italia si accorcerebbe di 240 chilometri, tanto è il tempo necessario oggi per traghettare”.
Durante l’ultima parte della legislatura 1996-2001 furono i governi di centrosinistra guidati da D’Alema e Amato a far avanzare il progetto del ponte. Grande sponsor, pensate un po’, era Vincenzo Visco che da ministro delle Finanze annunciò persino i bandi di gara e fece trapelare l’interesse di investitori stranieri, spiegando convinto che l’opera “costa meno di un’autostrada e tra tutte le soluzioni possibili è quella più conveniente per i costi e l’impatto ambientale”. Le stesse cose andava dicendo Luciano Violante, mentre Rutelli da candidato premier andò in Sicilia a caccia di voti e consensi, promettendo anche lui il ponte. Come Berlusconi. Qualche giorno fa l’assessore campano Claudio Velardi ha ricordato in un’intervista che Pierluigi Bersani è sempre stato favorevole al progetto, senza avere però il coraggio di salvarlo quando i Verdi imposero la cancellazione del ponte dal programma dell’Unione nel 2006. E di fronte ai diktat di Pecoraro non dissero una parola neppure Enrico Letta e Enzo Bianco: quest’ultimo, catanese, firmava persino accorati appelli pro-ponte su riviste e giornali.
Ecco, prima di sparare a zero contro l’ecomostro o l’ "opera faraonica" (come qualcuno ha già fatto), il Pd dovrebbe dare uno sguardo al recente passato. Il suo. E se vuole dare davvero un segnale di novità Franceschini dovrebbe farlo suo, il ponte di Messina, adesso che il Cavaliere lo ha rilanciato, abbandonando una volta per tutte quel partito fondamentalista e catastrofista del no, incarnato dall’ecologismo politico e da un certo snobismo intellettuale.
In un colpo solo potrebbe farla finita col benaltrismo, malattia cronica che consiste nel dire che c’è sempre qualcosa di meglio da fare senza discutere nel merito delle proposte in campo. Ma una certa mentalità è difficile da cancellare. Qualche tempo fa rimase inascoltato un appello di Francesco Merlo dalle colonne di Repubblica: “Anche coi bilanci in rosso, il Ponte sarebbe comunque ricchezza, risorse, opportunità straordinarie, nuovi posti di lavoro. Alla fine è l’opera più bella e più avanzata che l’Italia possa realizzare, è un risarcimento al nostro Sud e deve essere un’operazione laico-simbolica keynesiana, la fine di un handicap”.
Il segretario del Pd non ha che da fare una cosa di sinistra. “Il Ponte – scrive Merlo – è quanto più di sinistra si possa fare, non dire, oggi in Italia”. Coraggio, Franceschini.
*Giuseppe Cruciani è autore del libro "Questo ponte s’ha da fare", edito da Rizzoli.