Se gli States diventano Estados Unidos

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Se gli States diventano Estados Unidos

13 Luglio 2007

Ci sono più latinoamericani negli Stati Uniti che in Argentina. Basta questo dato per far intendere quanto peso avrà il voto degli hispanics nelle presidenziali del 2008. Un ruolo mai avuto prima per due ragioni. Innanzitutto, l’elettorato di origine ispanoamericana è in continua crescita negli Stati Uniti: oggi, i latinos registrati nelle liste elettorali sono circa 10 milioni. Inoltre, due terzi degli elettori di questa minoranza-sempre-meno-minoranza risiedono in 9 Stati che hanno deciso di tenere le primarie prima o entro il Supertuesday del 5 febbraio 2008.

Tra questi, spiccano le “messicanizzate” Florida e California (non a caso ribattezzata da qualcuno “Mexifornia”). Ma c’è anche un’altra novità, che riguarda i flussi elettorali: dopo una lunga luna di miele con George W. Bush, l’elettorato latino sembra aver voltato le spalle al partito Repubblicano per sposare la causa democratica. D’altro canto, uno studio del Pew Center ha mostrato che, già alle elezioni di mid term del novembre scorso, il voto ispanico è andato ai Democratici con 11 punti percentuali di vantaggio rispetto al GOP.

Il motivo principale di questo spostamento va ricercato nell’irrigidimento da parte del partito Repubblicano sul tema dell’immigrazione.

In Senato, un progetto di riforma, l’immigration bill caldeggiato dal presidente, è stato affossato dai senatori dello stesso partito Repubblicano, incuranti dell’appello di Bush a dar prova che l’America “mantiene la sua tradizione di accoglienza e integrazione”. Alcuni esponenti del Grand Old Party sono arrivati a proporre l’edificazione di un muro lungo la frontiera con il Messico, suscitando le ira dei messicani dall’una e dall’altra parte del confine. Durante il dibattito, poi, i candidati repubblicani alla Casa Bianca, se si esclude John McCain, hanno usato dei toni che ai latinoamericani sono sembrati offensivi.

La gaffe più clamorosa l’ha commessa il candidato in pectore Fred Thompson. Intervenendo ad un evento elettorale nella Carolina del Sud, il protagonista della fortunata serie Law and Order ha dichiarato alla vigilia del voto sull’immigrazione: “Non credo che (gli immigrati) vengano qui a portare i saluti di Castro. Viviamo nell’era delle bombe nelle valigette”. Attaccato dai Democratici, Thompson ha dovuto immediatamente rettificare, precisando che si riferiva alle spie cubane e non agli immigrati legali provenienti dall’isola caraibica.

D’altra parte, Giuliani e compagni hanno snobbato il congresso della National Association of Latino Elected Officials, tenutosi ad Orlando in questi giorni, al quale hanno partecipato invece al gran completo i candidati del partito dell’Asinello.

“E’ stato un grosso errore”, ha dichiarato al Miami Herald, il parlamentare repubblicano di radici latinoamericane, Marco Rubio. Strategia che non è piaciuta neppure al Wall Street Journal, giornale vicino al movimento conservatore. In un editoriale sull’argomento, il WSJ ha evidenziato che “il GOP corre il grave rischio di inviare ai Latinos questo messaggio: non vi vogliamo nel partito. Se ciò accadesse, i Repubblicani potrebbero trovarsi ad essere un partito di minoranza per una o più generazioni”. Insomma, come ha scritto il San Diego Union Tribune, il 9 luglio scorso, sembrano passati anni luce da quando Ronald Reagan affermava che non c’è bisogno di far diventare gli hispanics repubblicani, perché lo sono già anche senza saperlo. Questo feeling iniziato con Reagan e rafforzato da Bush figlio si è ormai dissolto.

Di tale evoluzione, approfittano ovviamente i candidati democratici, Hillary Clinton in testa. La senatrice di New York ha assegnato ad una donna di origine messicane, Patti Solis Doyle, un ruolo chiave nella sua campagna elettorale. E’ assistita da consulenti che parlano fluentemente spagnolo e che provvedono a promuovere una comunicazione politica, a partire dall’uso della lingua, orientata verso l’elettorato di origine ispanoamericana.

La strategia pro latinos di Hillary sembra aver avuto i suoi effetti. La ex First Lady si è già aggiudicata il sostegno del sindaco di Los Angeles, Antonio R. Villaraigosa, uno dei politici più popolari tra gli hispanics statunitensi, mentre gli ultimi sondaggi mostrano che il 60 per cento dell’elettorato latinoamericano di matrice democratica è pronto a votare per lei.

Dal canto suo, Barack Obama ha visitato più volte il Nevada, Stato ad alta concentrazione latinoamericana, mentre John Edwards ritiene che la sua campagna elettorale incentrata sulla lotta alla povertà farà centro nei cuori dell’elettorato latino. E poi c’è il governatore del New Mexico, Bill Richardson, di origine messicana. Certo, l’esponente dell’ala pacifista del partito Democratico non vincerà mai la nomination per la Casa Bianca, ma la sua candidatura è il segno dei tempi che cambiano. Intanto, un sondaggio pubblicato da Newsweek, questa settimana, indica che l’81 per cento degli elettori americani voterebbe un candidato di origine ispanoamericana alla presidenza USA.

Chissà che un giorno il presidente degli Stati Uniti non venga presentato con questa formula al suo ingresso nell’aula del Congresso: Señoras y señores: el presidente de los Estados Unidos de America!