Se Hamas risponde al fuoco, Israele è pronto a invadere Gaza
30 Dicembre 2008
di redazione
Venerdì scorso un portavoce di Hamas ha avanzato la seguente proposta al governo israeliano: “Se ci garantite il flusso degli aiuti umanitari e dei rifornimenti destinati a Gaza noi eviteremo di colpire con i lanciarazzi e i mortai i civili israeliani”. Davanti a una richiesta come questa Israele aveva ben poche scelte eccetto quella di rifiutare.
Per settimane lo stato israeliano ha implorato Hamas di fermare il lancio di missili diretti oltre il confine, bloccare gli scavi dei tunnel finalizzati alla prossima serie di violenze, e permettere ai nostri coloni di coltivare i loro campi. Gli islamisti hanno risposto che non temevano l’esercito di Davide e che si sarebbero riservati il diritto di resistere alla “occupazione” – intendendo con questa parola l’esistenza di uno stato ebraico. Hanno risposto con insolenza a Israele che doveva abituarsi all’idea che nessun gesto umanitario avrebbero moderato la loro condotta.
Alle 11:30 di sabato scorso, Israele si è finalmente deciso a informare Hamas che lo stato ebraico non sarebbe morto lentamente dissanguato. Grazie a un’eccellente intelligence e a una superba preparazione, il nemico è stato colto di sorpresa. Sono stati colpiti obbiettivi su e giù lungo
Nell’avviare l’operazione “Piombo Fuso”, il ministro della Difesa Ehud Barak aveva dichiarato: “C’è un tempo per la tregua e un tempo per combattere”. E il primo ministro Ehud Olmert, fiancheggiato da Barak e dal ministro degli esteri Tzipi Livni, ha affermato che Israele ha fatto tutto il possibile per evitare questa escalation, ma che le sue preghiere per la pace sono state ascoltate con sdegno.
La missione dell’esercito israeliano non deve far cadere Hamas ma portare la pace nel sud di Israele. In un certo senso stiamo chiedendo ad Hamas di smettere di essere Hamas. Gli islamisti devono decidere se vogliono precipitare nelle fiamme o se sono pronti a prendersi le responsabilità che derivano dal controllo della Striscia. Potrebbero darci nessun’altra alternativa se non quella di far crollare la loro amministrazione. Per merito di Hamas, oggi chi prende le decisioni in Israele sta evitando quel genere di retorica ampollosa per cui “siamo tutti dispiaciuti per com’è anadata
Non ci aspettiamo che questa operazione sia facile o veloce. Ci aspettiamo che avvenga. Gli Israeliani devono stare uniti ed essere vigili. Sfortunatamente abbiamo già visto scoppiare dei tumulti tra i palestinesi di Gerusalemme Est. La possibilità che ci siano dei disordini tra i nostri cittadini arabi non può essere sottovalutata. I razzi di Hamas potrebbero raggiungere gli obbiettivi ancor prima che ci si renda conto di essere sotto la portata del nemico; le loro minacce di attacchi suicidi devono essere prese con la massima serietà. E vanno messi in allerta anche gli ebrei della Diaspora.
Durante il fine settimana post-natalizio gli eventi di Gaza hanno catturato l’attenzione internazionale. Da alcuni media esteri neutrali stiamo già sentendo l’accusa che la rappresaglia di Israele sarebbe sproporzionata e una forma di “punizione collettiva”. Il fatto che centinaia di palestinesi siano stati uccisi, paragonato al numero delle vittime israeliane, porta alcuni giornalisti a concludere che Israele sia dalla parte del torto. Un importante notiziario britannico si è meravigliato sul motivo per cui il governo di Londra non abbia ancora chiesto a Israele di sospendere le operazioni militari.
C’è una riluttante consonanza tra il fatto che Hamas usi i civili palestinesi come scudi umani e l’assurda richiesta che Israele trovi magicamente il modo di eliminarli senza ferire neppure uno di loro. La formula per guadagnarsi le simpatie di quelli che soffrono di relativismo morale è tanto chiara quanto stomachevole: avremo davvero poca pietà se un ebreo viene ucciso. Se – il cielo non voglia – dovesse essere colpito un asilo israeliano, Israele potrebbe momentaneamente guadagnarsi la simpatia di qualche notiziario a Parigi, Londra o Madrid. A questo prezzo preferiamo perderla, la loro simpatia.
Tuttavia ci aspettiamo che i nostri diplomatici lavorino alacremente per presentare il caso di Israele alla comunità internazionale. Il ministro degli esteri Tzipi Livni ha iniziato questo processo. In un discorso in lingua inglese ha detto “Quando è troppo, è troppo”. Israele non continuerà a subire il lancio di razzi e gli attacchi a colpi di mortaio senza ricambiare. Su questo giornale ci meravigliamo di come la comunità internazionale, che non può supportare in modo esplicito l’operazione di Israele contro i più intransigenti tra i fanatici musulmani, pretenda poi di giocare un ruolo positivo nella facilitazione del processo di pace in questa regione. Hamas deve essere fermata e il mondo civilizzato deve aiutare Israele a fermarla.
Traduzione di Kawkab Tawfik
Tratto da "The Jerusalem Post"