Se Hezbollah vince le elezioni, il Libano diventa una nuova Gaza

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Se Hezbollah vince le elezioni, il Libano diventa una nuova Gaza

12 Marzo 2009

Ely Karmon è un esperto israeliano di antiterrorismo. Guerriglia insurrezionale, terrorismo con armi di distruzione di massa, violenza ed estremismo politico. Ne scrive, lo insegna, ed è una voce rispettata all’interno del mondo militare. Karmon ha servito come consulente del Ministero della Difesa israeliano ma è di casa alla Nato e alle Nazioni Unite. Ha scritto “Coalitions between Terrorist Organizations: Revolutionaries, Nationalists, and Islamists” (Brill Academic Publishers 2005). Lo abbiamo intervistato parlando di come sta evolvendo la situazione in Medio Oriente, dopo la fine della Guerra di Gaza, le elezioni negli Usa e in Israele, e in attesa di conoscere chi andrà al potere in Palestina, Iran e Libano.   

Dobbiamo aspettarci un atteggiamento più intransigente degli Usa verso Israele?

“Credo che non ci sarà un cambio sostanziale nella politica americana. Ci sono tre problemi da affrontare: il processo di pace con i palestinesi, il progetto nucleare iraniano, e in una certa misura anche le relazioni con la Siria. Il negoziato con la Siria è collegato al problema palestinese perché su questo c’è una strategia israeliana e americana: parliamo prima con Damasco e lasciamo alla fine la soluzione della questione palestinese. Poi c’è il problema se bisogna dialogare con l’Iran, come sembra che abbiano deciso di fare gli americani, anche se in questo caso la questione è come e fino a quando parlare con Teheran”.

Quanto contano gli insediamenti dei coloni ebraici per Obama?

“Su questo c’è una posizione chiara degli americani. Obama farà capire, più di Bush, che Israele deve affrontare il punto chiave degli insediamenti per risolvere le questioni di frontiera con i palestinesi”.

E le trattative con la Siria?

“Sul problema siriano c’è chi pensa che Israele sia diventato più ‘morbido’ perché ha cominciato a negoziare senza coordinarsi con gli Usa e, in un certo senso, entrando in contraddizione con l’amministrazione Bush. Ma anche in questo caso ci accorgiamo che non c’è stato alcun risultato concreto: nonostante la mediazione e tutta la buona volontà dei turchi, non c’è stato nessun cambio di marcia perché – a mio parere – i siriani restano influenzati dal problema iraniano. Sono certo che i siriani vogliono continuare ad avere un controllo sul Libano, ma l’amministrazione Obama ha promesso al governo Siniora e alle "Forze del 14 Marzo" che continuerà a difendere gli interessi e l’indipendenza del Libano”.

E’ possibile partire dalla questione delle Fattorie di Shebaa per risolvere il nodo più complesso del Golan?

“La questione delle Shebaa Farms è molto importante, tanto per Israele quanto per l’Hezbollah e i siriani. Ma questo è soltanto un pretesto di Hezbollah per continuare la sua politica aggressiva verso Israele. Nel momento in cui ci fosse una soluzione per quanto riguarda le Fattorie di Shebaa questa verrebbe presentata da Hezbollah come un’altra vittoria contro Israele. Inizieranno a dire ‘questi villaggi prima del ’48 erano libanesi’…, insomma la stessa storia della questione palestinese”. 

Qual è il collegamento con l’Iran?

“Il risultato delle trattative con la Siria è legato alla possibilità che l’Iran ottenga l’atomica. Da qui dipende se Damasco cercherà di ottenere un compromesso oppure no. Loro aspettano di vedere cosa accadrà nei negoziati occidentali con Teheran. Insomma la rincorsa atomica iraniana è un problema strategico anche per la Siria, ed è un problema difficile da risolvere, anche se Israele, gli Stati Uniti e la Comunità Europea ci mettessero tutta la loro buona volontà. Tutto dipende dal nucleare iraniano, è il problema più grave, ogni cosa ruota intorno a questo elemento decisivo. Se i negoziati in corso, nell’arco dei prossimi sei/otto mesi, non porteranno a qualche risultato, non resterà altro da fare che imporre delle sanzioni contro l’Iran. Il programma del governo iraniano avanza a passi molto più rapidi di quanto si pensava in passato, come ci dice l’Agenzia per l’energia atomica delle Nazioni Unite”.  

Che succederà se Khatami dovesse vincere le elezioni?

“Non si può ancora dire con certezza chi sarà il vincitore delle prossime elezioni in Iran, ma dobbiamo ricordare che nel periodo in cui Khatami fu presidente non riuscì a spuntarla con i conservatori. Forse potrebbe mostrarsi più aperto con l’Occidente ma in ogni modo anche lui approva il programma nucleare iraniano”.       

E se ci fosse un’affermazione di Hezbollah in Libano?

“Secondo la maggioranza degli osservatori sarà questo il risultato delle prossime elezioni. Hezbollah avrà la maggioranza. Ci sono delle ragioni di tipo demografico ma anche politiche: consideriamo il fatto che Hezbollah è alleato con i cristiano-maroniti di Michel Aoun, per esempio. Se Hezbollah vincerà in Libano avremo un altro Paese che da essere filo-occidentale diventa filo-iraniano. Sfortunatamente questo è il risultato della politica estera portata avanti dalle grandi potenze, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea, ma anche da parte di Israele, che non è mai intervenuto, anche quando avrebbe dovuto fare pressioni sulla Siria per cambiare la situazione. Adesso è troppo tardi. La probabile vittoria di Hezbollah è anche causata dal comportamento dei Paesi del Golfo, come il Qatar, un altro di quegli stati filo-iraniani più che filo-occidentali”.   

Il premier palestinese Fayyad ha annunciato le sue dimissioni. Che sta succedendo?

“E’ molto difficile fare una valutazione sulle dimissioni di Fayyad. Qualcuno dice che sono servite per aiutare Abu Mazen ad arrivare ad un accordo con Hamas, altri dicono che è stato un gesto per favorire lo stesso Fayyad nel momento in cui si dovrà decidere chi sarà il nuovo premier palestinese. Fayyad è appoggiato dagli americani e la convinzione della Casa Bianca è che sarà uno dei ministri del prossimo governo di unità nazionale palestinese. Le sue dimissioni sono state accettate dal presidente Abu Mazen, almeno fino a quando non ci sarà un nuovo governo”.  

I sondaggi dicono che Hamas ha recuperato il consenso che aveva a Gaza prima dell’Operazione “Piombo Fuso”…

“Non mi fido dei sondaggi che sono stati fatti nei territori palestinesi, su questo sono scettico”. 

Qual è la percezione degli israeliani sull’ultimo conflitto di Gaza?

“Credo che c’è un sentimento di attesa. C’è una parola in ebraico che indica quando una donna incinta sta per partorire, voglio dire che la Guerra di Gaza non è terminata ed è quello che pensa la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana. Aver portato avanti un’azione limitata non ha giovato a Israele. Credo che questo sia stato un grosso errore della politica israeliana, un errore politico ma anche strategico dei nostri leader, anche se dobbiamo considerare che le elezioni americane hanno influito sullo stop alle operazioni. Il risultato della guerra è stato molto chiaro e ce ne accorgiamo dall’atteggiamento di Hamas. Adesso i loro leader si sentono più al sicuro di quando erano rinchiusi nei loro bunker sotto le bombe… Se questa situazione dovesse protrarsi non è escluso un nuovo conflitto”.

Sharon fece bene a ritirarsi dalla Striscia di Gaza?

“No, credo che sia stato un errore strategico. Avvenne nonostante sapessimo cos’era accaduto in precedenza nel Sud del Libano. Sharon avrebbe potuto ritirare tutti gli insediamenti civili e far arretrare le forze armate, ma Israele avrebbe dovuto conservare il controllo del “Corridoio Philadelphia”. Questo è l’ossigeno che permette ad Hamas di sopravvivere e rianimarsi, che poi è la stessa strategia di Hezbollah; fino a quando non ci sarà un forte controllo delle frontiere i nostri bombardamenti non aiuteranno a cambiare le cose. E col passare del tempo, Hamas potrà riarmarsi con mezzi di più ampia portata fino a minacciare Tel Aviv”.   

Come se ne esce?

Il problema di fondo è che non si può arrivare a un accordo di pace con i palestinesi finché Gaza resterà sotto il controllo di Hamas. Hamas oggi non accetta una soluzione pacifica, non accetta il riconoscimento dello Stato di Israele, non accetta gli accordi di Oslo, e se dovessimo avere un governo di unità nazionale palestinese, anche Hamas avrà una parte cruciale nei negoziati. A mio avviso, fino a quando Hamas resterà al potere a Gaza e sarà in grado di influenzare la politica palestinese non sarà possibile arrivare a una soluzione”.