Se Hillary imita George W.
14 Agosto 2007
di redazione
Non passa giorno che Hillary Clinton non attacchi con veemenza il presidente, eppure qualcuno sostiene che la strategia della senatrice di New York sia un’imitazione di successo di quella messa in campo da George W. Bush per conquistare la Casa Bianca. L’ipotesi è stata avanzata sul quotidiano washingtoniano The Politico da Elizabeth Wilner, secondo cui lo staff della ex First Lady emulerebbe le tattiche utilizzate da Bush per aggiudicarsi le elezioni del 2000 e del 2004. Wilner elenca tutte le similitudini tra i due. Innanzitutto, entrambi guidano una campagna elettorale molto disciplinata nella quale tutti i collaboratori sono legati al candidato da un forte vincolo di lealtà. Di qui, la mancanza di fughe di notizie, che fecero perdere il sonno ai democratici Al Gore e John Kerry. Come Bush, scrive The Politico, anche Hillary creerebbe degli oppositori immaginari per poi abbatterli in modo da rafforzarsi a spese degli avversari. Tutti ricordano che lo staff del dimissionario Karl Rove fu efficacissimo nel far cadere in fallo il democratico Kerry, impreciso e troppo verboso. Altra caratteristica comune alle due campagne elettorali è la marcatura stretta ai mass media. I responsabili della comunicazione della Clinton rispondono con prontezza e con tutti i mezzi possibili (dalla tv alle email), a quelle notizie che possono danneggiare l’immagine della senatrice. E l’entourage di Hillary non manca di mostrare un atteggiamento aggressivo verso quei giornalisti che si ritiene abbiano passato il segno. E’ il caso di Robin Givhan del Washington Post, che aveva criticato una scollatura troppo audace di Hillary durante un intervento al Senato. La macchina elettorale della front runner democratica ha subito censurato l’editoriale di Givhan bollandolo come “volgare” e “insignificante”. Altro punto in comune con George W., l’adozione del mantra: “Sei con noi o contro di noi”. I Clinton hanno fatto capire che terranno d’occhio i grandi finanziatori. E va da sè che non mancheranno di tirare le somme qualora Hillary si insediasse nello Studio Ovale. Infine, tattica un tempo bushiana e ora clintoniana, far passare l’idea che la vittoria sia assicurata e che dunque non valga la pena di puntare su altri cavalli, perdenti in partenza. Tattiche e non solo. Al Financial Times, a metà luglio, non è passato inosservato che uno dei principali finanziatori di Bush, John Mack, capo della Morgan Stanley, abbia dichiarato il suo appoggio ad Hillary per le presidenziali del prossimo anno.
L’articolo di The Politico ha offerto nuovi argomenti a quanti, e non sono pochi anche nel partito Democratico, si oppongono alla “inevitabilità” dell’elezione di Hillary Clinton alla presidenza. Soprattutto, cresce il numero di coloro che temono l’instaurazione di una successione dinastica Bush-Clinton alla Casa Bianca. In effetti, se Hillary venisse eletta e poi (ipotesi del tutto possibile) confermata per un altro mandato nel 2012, gli americani avrebbero avuto in 28 anni (dunque un’intera generazione) solo presidenti di nome Bush o Clinton. Già oggi, i Bush (padre e figlio) hanno governato per 11 anni (senza contare gli 8 da vicepresidente di Bush senior), mentre la famiglia Clinton è stata alla Casa Bianca per 8 anni. Su Youtube, va forte un video di poco meno di due minuti che mostra in successione le immagini dei componenti delle due “famiglie reali” d’America che, avverte minaccioso lo spot, potrebbero governare fino al 2041! Dopo Hillary, infatti, si azzarda l’elezione di Jeb Bush (già governatore della Florida) seguita dal Commander-in-Chief Chelsea Cinton e, per concludere, dalle presidenze di Jenna e Barbara Bush, le figlie gemelle dell’attuale presidente. Al di là degli scenari fantapolitici, come quello proposto da questo video, il timore che la permanenza a Pennsylvania Avenue diventi un affare privato tra i Bush e i Clinton non è del tutto estraneo all’opinione pubblica americana. Interpellata sull’argomento, Hillary ha tagliato corto, affermando che il vero errore è stato l’elezione di Bush. Tuttavia, il problema comincia ad essere sollevato anche da opinionisti di primo piano come il conservatore Michael Barone, mentre nella blogosfera si moltiplicano gli appelli contro l’elezione per “diritto dinastico” di Hillary Clinton. Insomma, oggi God Bless America. Domani, God Save the Queen?