Se i Balcani non decollano è tempo di cambiare classe dirigente
20 Luglio 2010
di Lavdrim Lita
Molti dei leader balcanici in questi anni sono stati mossi da fini opportunistici, tesi ad accumulare vantaggi personali, temendo le oscillazioni del consenso all’interno del corpo elettorale, e spaventati dai poteri occulti. Quando la costruzione dei "nuovi stati" è stata completata, o almeno così si diceva, i cittadini si sono dimostrati poco propensi verso il tornare a viverci dentro, perché ancora una volta le classi dirigenti hanno pensato al loro tornaconto e a come difendere o ampliare i loro patrimoni personali. Questo ciclo ha portato alla perdita di fiducia nelle strutture del governo, un fenomeno che insieme alla crescente disoccupazione e alla povertà si è rivelato un ambiente di coltura ideale per i politici radicali e la criminalità organizzata (che spesso sono la stessa cosa).
Un habitat del genere è molto comune nei Balcani, come dimostra il paradigmatico caso del Kossovo. Nelle ultime settimane dall’altra parte dell’Adriatico abbiamo assistito a un pericoloso trattamento con i guanti di velluto di problemi come la diffusione del radicalismo e del nazionalismo, un approccio ambiguo verso gli estremismi che dominano l’area. In una recente commemorazione della storica battaglia avvenuta 621 anni fa nella pianura del Kossovo tra serbi e ottomani, migliaia di nazionalisti di Belgrado hanno giurato di sterminare gli albanesi, bruciando in piazza le bandiere dell’Albania e degli Stati Uniti. La stessa cosa avvenne nel 1989, quando Slobodan Milosevic diede il via alla pulizia etnica dei kosovaro-albanesi partendo proprio dalla piana del Kossovo. Anche questa volta le autorità di Belgrado sono rimaste in silenzio.
In Kossovo, dove il 90% della popolazione è musulmana, il Ministro della Pubblica Istruzione, Enver Hoxhaj, anche lui islamico, ha dichiarato che il Paese è uno stato laico. Nelle scuole elementari e nei Licei è stato vietato il velo e gli altri copricapi tipici del mondo musulmano. La decisione del ministro, grosso modo, è stata sostenuta dall’opinione pubblica, ad eccezione delle frange più estremiste che hanno protestato. Tuttavia, questo non esclude che il governo del Kossovo possa rispondere alle esigenze di una minoranza, se il ministro dovesse effettivamente violare la libertà di culto. Se le decisioni in materia di laicità vengono disprezzate dai gruppi radicali questo non impedisce che si possa parlare con loro, per evitare che si isolino, e perché la loro religiosità, tradita o negata, potrebbe spingerli a occhi chiusi nella braccia del fondamentalismo.
Con la crisi economica che sta affliggendo l’Europa, i Balcani continueranno a soffrire la povertà e la disoccupazione, specialmente tra i giovani. In assenza di politiche economiche che riescano a calmierare o invertire questi trend, i capi dei governi devono trovare un modo per conquistarsi almeno un po’ di fiducia della gente, verso di loro e verso le istituzioni. Questo significa applicare le leggi anche quando non sono molto popolari, come nel caso della libertà di religione in Kossovo e a Belgrado. La giustizia deve frontegguare e rispondere agli estremisti che incoraggiano l’odio etnico.
In futuro i governi dei Balcani avranno ancora bisogno di meccanismi di prevenzione: la lotta contro gli estremisti necessita di investimenti in tutti i comparti della società civile. Per evitare che i giovani divengano nuove reclute dei movimenti estremisti, la scuola dovrebbe presentare nei suoi programmi corsi in cui si parli e si studi la tolleranza e la giustizia sociale. In questo momento i leader dei Balcani hanno la necessità di stabilire le basi del futuro e compiere ulteriori passi verso una prospettiva politica riformista. Il silenzio di fronte al nuovo ruggente nazionalismo serbo è un avvertimenti su come in futuro chepotrebbe ripresentarsi le violenze del passato.