Se i conti sono così in ordine perché Tps si affanna tanto a trovare risorse?

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Se i conti sono così in ordine perché Tps si affanna tanto a trovare risorse?

Se i conti sono così in ordine perché Tps si affanna tanto a trovare risorse?

11 Gennaio 2008

La pubblicazione dei dati ISTAT sull’andamento dei conti pubblici dei primi 9 mesi del 2007 è stata accolta con umori diversi negli ambienti della politica e nei salotti delle associazioni di categoria.

A sinistra, per 48 ore si sono levati squilli di tromba trionfali, a ricordare al Paese che – tra avanzo primario al 3,5% e rapporto deficit/PIL all’1,3% – non siamo mai stati così bene dal 1999 ad oggi.

Il confronto con i dati dell’anno precedente, d’altra parte, è reso impari dalla sentenza della Corte di Giustizia UE che, dichiarando illegittimi i limiti alla detrazione IVA sulle autovetture, ha innescato una spirale di rimborsi da quasi 16 miliardi di euro.

In realtà, anche a sinistra l’entusiasmo è durato poco, se è vero – ed è vero – che il Governo sta da tempo elaborando piani per una Manovra-bis, a rimpinguare le casse pubbliche di ben 7 miliardi di euro.  Secondo alcune stime, la cifra si attesterebbe addirittura a quota 10 miliardi di euro, a seconda del fabbisogno per il rinnovo nel pubblico impiego, il recupero dell’inflazione, infrastrutture, sanità, eccedenze e debiti pregressi.

Un dato in chiara controtendenza, quello della manovra-bis. Come mai, se i dati dei primi 9 mesi 2007 sono così floridi, si deve ancora reperire così tanta liquidità?

Una prima risposta è che se l’avanzo primario è al 3,5%, parte di ciò è senz’altro dovuto al rinvio di spesa già preventivate – e avallate dal Parlamento – nel corso del 2007 ad esercizi successivi.

Una seconda lettura punta il dito sulla riduzione delle uscite complessive (passate dal 48,9% del PIL nel 2006 a un confortante 44,2% nel 2007). Il crollo (meno 54%) delle spese in conto capitale (per i profani del lessico da finanza pubblica, si tratta degli investimenti veri e propri) indica che la cura dimagrante è portata avanti con il blocco degli investimenti pubblici – ma non delle tradizionali clientele politiche. Non certo il marchio di fabbrica di un Paese in crescita, specie nel caso dell’Italia, notoriamente a corto di investimenti “pesanti”.

Un terzo elemento che balza vistosamente all’occhio è il dato relativo agli interessi passivi (12,2%), in aumento rispetto ai periodi precedenti. Un aspetto preoccupante – non a caso enfatizzato dalla stessa ISTAT – dal momento che è il servizio del nostro debito pubblico, e che questo governo ha fatto poco o niente per abbattere drasticamente il debito con manovre “patrimonio contro debito”.

Il ricorso massiccio a cartolarizzazioni consentirebbe infatti di ridurre il debito e di poter rispondere ad alcuni paradossi economico/finanziari che caratterizzano la gestione dei nostri conti pubblici dall’ingresso nell’euro in avanti.

Giulio Tremonti ha usato la metafora geometrica delle “asimmetrie” per fotografarli. La prima asimmetria: abbiamo un debito pubblico totalmente nazionale, ma abbiamo un patrimonio pubblico vendibile in gran parte locale.

La seconda: il debito pubblico, non solo è tutto statale, ma è anche tutto sul mercato, mentre una grande parte del patrimonio ancora in potenza vendibile (quello locale) non è sul mercato.

La terza: l’Italia è un Paese dove il potere di prelievo fiscale è soprattutto dello Stato centrale, mentre il diritto ed il potere di spesa, soprattutto di spesa sulle voci più dinamiche, è in gran parte locale.

Un quarto spunto di riflessione, infine, è l’impennata della pressione fiscale – trainata dal drastico aumento delle imposte – che ha portato l’indicatore (entrate fiscali e contributive sul PIL) al 43,7% nel corso dei nove mesi del 2007 considerati. Piove sul bagnato, visto che nel corso della storia di questa scalcagnata repubblica nessun governo aveva vessato così tanto i contribuenti: dilatando a dismisura i poteri dell’Amministrazione Finanziaria e demonizzando il ceto medio produttivo del Paese.  Che ha perso da tempo la fiducia in questo Governo, crede sempre di meno al concetto di “lealtà” fiscale, e tra non molto finirà per rinunciare anche alla comprensione degli interessi dell’altra parte.