Se i partiti sono alla frutta, bisogna ripartire da una nuova classe dirigente

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Se i partiti sono alla frutta, bisogna ripartire da una nuova classe dirigente

27 Giugno 2011

I partiti si stanno disfacendo, ma il caldo non c’entra niente. Al massimo acuisce il nervosismo. C’entra, invece, la progressiva distanza che hanno messo tra i loro apparati e la gente. Sono irriconoscibili. E suscitano diffidenza, fastidio, detestazione. Non a caso la militanza è finita da un pezzo, ma anche quel pallido interesse che pure si accendeva attorno ad essi sembra scomparso. Nessuno può dirsi estraneo a questa catastrofe politica che dopo Tangentopoli, francamente, era difficile ipotizzare.

Sono passati ormai vent’anni dalla cancellazione di quasi tutte le forze tradizionali dalla mappa della geografia politica e non si è stati capaci di costruire niente di duraturo che assomigliasse a strumenti deputati alla veicolazione del consenso. In due decenni alcuni partiti hanno cambiato più volte denominazione, classe dirigente e identità. Sono diventati irriconoscibili. Da quando si è scelto il sistema maggioritario, seppure molto all’italiana, e il bipolarismo, per quanto straccione, ha fatto irruzione nel nostro sistema istituzionale, le liste elettorali si sono moltiplicate: altro che semplificazione. Spesso da un partito ne nascono due, tre, quattro. Il Parlamento è il centro di raccolta delle scomposizioni politiche. Anche per questo la vita pubblica non funziona.

Funziona, benissimo, paradossalmente, la partitocrazia, vale a dire la degenerazione del partitismo. I numerosi gruppi e gruppetti che un tempo sarebbero stati qualificati come correnti nei soggetti di appartenenza, pretendono di sedersi al tavolo delle spartizioni/lottizzazioni al pari delle organizzazioni dalle quali si sono distaccati. Difficile, come si capisce, accontentare tutti. Il più delle volte i tavoli rischiano di saltare. Un gran casino, insomma. Se poi ci si immerge nel magma dei partiti "veri", tanto di maggioranza che di opposizione, si rischia di rimanere soffocati.

Le cronache di questi giorni ci confermano quel che già sapevamo del Pdl: il partito dell’amore nuota a meraviglia nel curaro. Peggio della balcanizzazione più volte denunciata. Sembra non si salvi nessuno dai veleni sparsi a piene mani che hanno colpito anche il Cavaliere. Non credo ci sia altro da fare che spazzare via tutto, ripulire gli angoli, sbattere energicamente i tappeti per poter ricominciare. L’ottimo Angelino Alfano dovrà pretendere e ottenere la più ampia libertà di movimento se vorrà sperare di rimettere in corsa il Pdl. Certo, fare in due anni quel che non è stato fatto negli ultimi tre è impresa ardua, ma non c’è altro da fare che tentare, cercando di dare al partito innanzitutto un’anima.

Guardando a sinistra è come avere la visione del vuoto. Il Pd è un partito dilaniato da un correntismo esasperato. Privo di una leadership solida, il suo primato nella coalizione è insidiato dall’Italia dei Valori – dove pure si fronteggiano almeno due componenti, una delle quali ambiziosa e radicale facente capo a De Magistris – a da Sinistra e libertà di Vendola il quale difficilmente riuscirà a ricondurre sotto lo stesso tetto i comunisti della diaspora.

Il Terzo polo è una finzione. Conta soltanto Casini. Fli e Api sono comparse trascurabili. Programmaticamente non esiste. Può dare un po’ di fastidio alle elezioni in alcune regioni dove peraltro il solo Udc governa grazie alle intese con il Pdl: una scena kafkiana.

Ancor peggio le cose sembrano andare nella Lega. La leadership di Bossi vacilla. Maroni capisce che il suo momento è arrivato. Calderoli e Castelli non sembrano però intenzionati a riconoscerlo come capo. Il fondatore non molla e fa sapere che i capigruppo di Camera e Senato li nomina lui e non accetta discussioni. La democrazia è relegata all’applausometro di Pontida. Comunque, il Carroccio ha cominciato la sua discesa. Maroni è il solo che l’ha capito e non si fa illusioni.

Se il contesto è questo, non si vede come e chi possa assumere la guida del Paese. Da una classe politica sbrindellata non può venir fuori altro che il galleggiamento. E, per di più, in acque malsane dalle quale si levano miasmi che impediscono di respirare.

Ricominciare dai partiti, allora? Perché no. Rifondandoli, ovviamente. Annodando tradizioni storico-culturali con esigenze e sensibilità nuove. Facendo crescere classi dirigenti giovani, vitali, preparate. Ci vorrà del tempo, senza dubbio. Ma se mai s’inizia…