Se il Cile supera la crisi può ringraziare i “Chicago Boys”

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Se il Cile supera la crisi può ringraziare i “Chicago Boys”

27 Ottobre 2008

In una nota emessa il 21 di ottobre e pubblicata nel “Regional Economic Outlook” per l’emisfero occidentale, il Fondo monetario internazionale ha scritto che l’America Latina affronterà la tempesta monetaria mondiale meglio che nel passato. Certamente diminuirà la crescita che per il 2009 sarà solo del 3%.

Senza entrare nel dettaglio, il FMI spiega inoltre che saranno particolarmente colpiti quei paesi la cui economia è più legata all’esportazione di “commodities”, ovvero prodotti agricoli e petrolio. Decisiva sarà anche la situazione economica dei singoli stati. Secondo la maggior parte degli analisti economici, a cominciare da Osvaldo Kacef, esperto della Commissione Economica per l’America Latina dell’ONU (CEPAL), il Cile è il paese nelle condizioni migliori per affrontare la tempesta mondiale.

Secondo i dati ufficiali la politica del “superavit” strutturale portata avanti dal governo da anni ha permesso di risparmiare quote significative delle esportazioni di rame al punto che nelle casse dello stato ci sono ben 26 miliardi di dollari per affrontare la crisi. Certamente anche il prezzo del rame è caduto molto, ma il sottosegretario del Ministero dell’Economia Maria Olivia Recart può permettersi di dire: "Affrontiamo la crisi internazionale con la casa in ordine e con alcuni punti forti, con il mercato bancario, delle pensioni, dei valori a posto, un deficit del governo centrale del 3,5% del PIL, quasi il più basso della storia del Cile".

Subito il presidente Bachelet ha annunciato un piano finanziario di 1550 milioni di dollari a sostegno delle piccole imprese esportatrici, uno dei pilastri del successo economico del paese negli ultimi anni. Dopo pochi giorni ha riunito nella residenza dei presidenti cileni, la "Moneda", i partiti di governo e di opposizione ricevendone un consenso unanime. Si badi bene, questi di ottobre sono giorni di campagna elettorale per le elezioni locali. L’alleanza di centro sinistra, dopo quasi 20 anni di governo, sembra destinata a perdere nelle prossime elezioni presidenziali del 2009 a favore del centro-destra.

Certamente la “Concertacion de Partidos por la Democrazia”, formata da socialisti, democristiani, radicali e socialdemocratici, non solo ha saputo gestire con destrezza la transizione dal regime di Pinochet alla democrazia, ma anche salvare quanto c’era di buono nella politica economica portata avanti dal dittatore cileno dal ’73 all’89.

In Italia si sa praticamente tutto della spietata e sanguinaria repressione operata dai militari cileni ma è quasi un tabù parlare dei contenuti della politica economica di quegli anni. In Cile si sperimentarono tesi economiche elaborate dalla scuola di Chicago, i “Chicago Boys”, tra cui il Nobel Milton Friedman. L’asse portante di questa politica economica fu il riequilibrio del bilancio statale, la liberalizzazione dei tassi d’interesse, l’apertura delle frontiere, la privatizzazione del sistema pensionistico.

Tutto questo ebbe dei costi sociali durissimi, ma l’inflazione – che nel ’73 era del 50%, scese al 10%, e il paese ha goduto di una crescita del 7% annuo tra il 1976 e il 1980 del 7%. Ad oggi il Cile è il paese più prospero e  con il più alto reddito individuale dell’America Latina.

Nel frattempo l’Argentina, che alla fine della Seconda Guerra mondiale aveva il secondo reddito dopo gli USA, si appropria, nazionalizzandoli, dei soldi dei pensionati con la motivazione che lo stato deve tornare al primo posto (una buona scusa per salvarsi da una nuova bancarotta).

La decisione di Buenos Aires ha trascinato la borsa spagnola nel baratro. Ancora una volta il populismo peronista colpisce i risparmiatori europei, mentre 400.000 italiani non dimenticano la rapina subita con i “Tango Bonds”.

Il governo cileno, invece, ha escluso categoricamente la nazionalizzazione dei propri fondi privati pensionistici. Proseguendo sulla sua strada, quella giusta.