Se il conto in Europa lo paga Renzi
21 Febbraio 2016
La guerra dei debiti sovrani e l’emergenza immigrazione negli ultimi anni hanno allargato le faglie di una Europa mai così divisa. L’immagine più eloquente degli "Stati disuniti" è quella di Viktor Orban, gagliardo leader ungherese, che si gode un bel filetto di merluzzo con birra bianca alla cena del Consiglio fiume europeo, rinfresco andato di traverso ad Angela Merkel.
“Continueremo a tenere chiusi i nostri confini”, dice Orban, che vista la spavalderia sembra muoversi in linea con il “Gruppo di Visegrad” o “V4” (Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia), gli stati ex comunisti cresciuti con l’economia di mercato che dicono no alle ricollocazioni e alzano nuovi muri per arginare l’onda dei profughi e dei rifugiati provenienti dal Medio Oriente in fiamme.
Il ruolo che negli ultimi decenni ha saputo ritagliarsi il V4 – quattro Paesi che fanno manovre militari comuni – dovrebbe farci prendere seriamente le minacce di Orban che invece viene ridotto spesso a una specie di macchietta. Eppure il modello ungherese sulla immigrazione fa scuola proprio ai confini di Visegrad. Dalla Danimarca alla Gran Bretagna passando per l’Austria.
In Nord Europa il welfare per profughi, rifugiati ma anche immigrati provenienti da altri Paesi europei non sarà più a carico dei contribuenti. I nuovi arrivati se lo pagheranno da soli. L’Austria annuncia una quota irrisoria di nuovi ingressi alle sue frontiere. Anche Vienna, tradizionalmente nell’orbita tedesca, sembra avvicinarsi a Visegrad.
Per quanto malandato, una Germania più appannata del solito può contare ancora sul vecchio asse franco-tedesco. Così a Berlino non resta che recitare l’eterna parte del maestro di scuola, con le pagelle date sulla gestione dell’immigrazione altrui. Alla Grecia, innanzitutto, con bacchettate ufficiali, e all’Italia, indirettamente e di conseguenza.
Il convitato di pietra, il turco Erdogan, passa all’incasso: la Ue pagherà i tre miliardi per contenere l’onda, mentre la pressione si scarica tutta sulla Grecia, cosa che ad Ankara certo non dispiace viste le relazioni tra i due Paesi. Insomma è una Europa divisa in blocchi, gruppi di Stati che seguono ognuno il proprio interesse, riconfigurando in modo dinamico, veloce e profondo, l’Unione che conoscevamo.
Chi è che rischia di cadere dalla torre? Atene, sicuramente. Tsipras si sta cuccando il marasma degli irregolari e dei disperati che fuggono da guerre e conflitti. Ma se la Grecia resta isolata e i Paesi centro-orientali chiudono le frontiere da dove passerà il flusso dei migranti? Dalle nostre frontiere, la sempre verde Lampedusa e il Nord Est porta aperta sui Balcani.
Ora, si può anche rivendicare come ha fatto Matteo Renzi lo spirito di Ventotene. La cultura della accoglienza. L’unità e la solidarietà. Ma se tutto questo resta una vaga nostalgia europeista, se non si trasforma in una mossa politica, quella di Renzi è solo aria fritta.
Altro che ritagliarci un ruolo di "stato-guida" tra quelli di "Eurosud". Se non ci riusciamo è perché l’Italia in Europa non viene presa sul serio, soprattutto quando alza la voce. Dopo i fasti e l’ascesa del rottamatore, la crescita stenta, il debito è sempre quello, gli investitori se ne vanno (ultima Shell dal Mezzogiorno), la Corte dei Conti dice che la spending non sta funzionando.
Probabilmente saremo costretti a fare degli aggiustamenti se non una manovra correttiva. Renzi ha sprecato il capitalino di flessibilità che l’Europa gli aveva concesso usandolo come un’arma di consenso interno, con una finanziaria di sinistra basata sulla spesa. Ecco perché non ci prendono sul serio.
"E’ l’economia, bellezza", si dice in questi casi. Ma cosa faremo così isolati se e quando ci saranno nuovi sbarchi e nuovi ingressi? Cosa possono fare l’Italia e l’Europa meridionale per non essere buttate giù dalla torre? Insomma quanto altro tempo resta a Renzi e Tsipras prima di pagare il conto, salato, degli Stati disuniti d’Europa?