Se il mondo girasse con buon senso, la Gelmini preferirebbe McCain
28 Ottobre 2008
Caro Direttore,
una sua chiamata mi coglie di sorpresa all’alba (“Il ministro Gelmini dice che la sua riforma si ispira a quella di Barack Obama…”) invitandomi a scrivere un articolo sul tema. Come lei sa, da alcune settimane sono impegnata nella catalogazione dei miei libri perchè ad una certa età, improvvisamente, ci si rende conto che la biblioteca è diventata un giardino incolto che nasconde alla vista le proprie delizie. Dopo aver spento il telefono, stavo per tornare agli scaffali e gli occhi si sono posati su un volume intitolato “A Century to Celebrate: Radcliffe College, 1879-1979”, un libro ricco di illustrazioni sull’istituzione che aprì l’università di Harvard anche alle donne. E’ da allora che le università negli Stati Uniti hanno abbracciato l’innovazione ed è con quello spirito pionieristico che hanno superato quelle di Oxford e Cambridge. Come lei e i lettori dell’Occidentale potranno immaginare, non si tratta di una questione di parità tra i sessi – sono decisamente femmina, ma femminista non sono mai stata e nulla mi annoierebbe di più – ma di capacità di raccogliere le sfide che il mondo ci propone.
Lo stesso Barack Obama citato dal ministro dell’Istruzione è una sfida vinta dal sistema americano, un bel prodotto dell’università e degli studi legali made in USA. Obama ha studiato alla Columbia University ed è stato il primo direttore afro-americano della Harvard Law Review. Tutta la sua storia personale e familiare si svolge sul fondale dell’università: i genitori erano studenti universitari, il padre studiò ad Harvard prima di trovare la morte in Kenya, lui scoprì la sua passione politica tra i libri.
Il ministro Gelmini dice di condividere il piano di Obama per l’istruzione, ma non ne cita i contenuti. Se guardiamo con attenzione il programma per l’educazione del senatore dell’Illinois e lo compariamo a quello del candidato repubblicano John McCain, scopriremo che in questo campo i due parlano una lingua comune. Sono entrambi d’accordo sul livello piuttosto basso dell’istruzione primaria, pensano entrambi che servano sgravi fiscali e aiuti federali per le famiglie degli studenti, entrambi sostengono che bisogna migliorare il reclutamento, la preparazione e gli stipendi degli insegnanti (in base al merito). Se dovessimo cercare una differenza, la troveremmo nel fatto che McCain ha una visione più liberale dell’educazione, non si concentra solo sulla questione del censo e dell’accesso, il suo ragionamento è diamo una stampella a chi ne ha bisogno per camminare, ma non azzoppiamo anche i sani. McCain privilegia la molteplicità dell’offerta formativa e questo per un ministro con la storia e le radici culturali della Gelmini in realtà dovrebbe essere un punto per scegliere il programma del candidato repubblicano non quello del democratico.
Dopo questo giro d’orizzonte, mi viene il sospetto che il ministro Gelmini abbia cercato di fare quel che agli italiani riesce meglio da sempre: saltare sul carro del vincitore. Massima imprudenza, primo perché la corsa alla Casa Bianca è ancora apertissima e una sottile inquietudine si sta diffondendo in queste ore in casa democratica, ma soprattutto perché il ministro italiano tradisce l’impazienza di essere politicamente corretto nel momento in cui la minoranza degli studenti sfila nelle piazze. Non protegge lo studente diligente, non aiuta quello con il megafono in mano al posto della penna. Nessuno volta alto.
L’educazione per sua natura tende verso l’aristocrazia (che bella parola), parte dal basso ed eleva. Una casa nobile si riconosce dal profumo dei libri, dalla bellezza degli scaffali, dagli accessori per leggere e scrivere. Quando entro in un’abitazione, cerco sempre con la coda dell’occhio la biblioteca, se non la trovo divento più sospettosa del solito e mi rassicuro soltanto se sopra al camino vedo un whinchester.
L’alta istruzione negli Stati Uniti è competizione, speranza e opportunità. E’ su questi principi che Obama ha costruito la sua occasione storica. Per questo parare davanti alle proteste dei ragazzi la sua icona non serve a niente, solo a confondere il dibattito pubblico. Mettere sullo stesso piano i programmi sull’università e l’educazione di un candidato alla Casa Bianca con quelli di un paese come l’Italia mette a nudo l’insufficienza della propria conoscenza di quel che accade intorno al mondo. In questo caso, un mondo non piccolo e non marginale. La scuola elementare italiana, nonostante le difficoltà, le riforme e le controriforme, resta una delle migliori sulla faccia della terra. E gli Stati Uniti se la sognano. In Italia c’è un problema di bilancio e di moltiplicazione delle cattedre a tutti i livelli. Giusto tagliarle. Giusto tornare al maestro unico. Giusto il grembiule. Giusti i voti in pagella. Giusto un ritorno alla tradizione. Profondamente sbagliato invece è paragonare lo stato dell’università e della ricerca del nostro Paese con la discussione in corso negli Stati Uniti dove l’università è il meglio, mentre l’Italia appare sempre più, inesorabilmente, il peggio del peggio. Nella classifica globale di Newsweek sulle università stilata nel 2007, tra i primi cento atenei non ne figura neanche uno italiano e la maggioranza è costituita dalle istituzioni americane. Se usiamo come guida invece il Times Higher Education Supplement del 2008, la prima università italiana in classifica è quella di Bologna al 192° posto, mentre tra le prime dieci vi sono sei atenei americani e quattro inglesi.
La sola università di Harvard ha espresso quaranta premi nobel, l’Italia nel suo complesso ne ha prodotto venti, di cui alcuni piuttosto discutibili e perfino imbarazzanti.
In un mondo logico e di buon senso, gli studenti dovrebbero tornare in classe, i professori in cattedra, e il ministro Gelmini (non Giovanna Melandri che fa campagna giustamente per Obama) dovrebbe sperare in una vittoria del repubblicano McCain. Ma siccome accade il contrario, si salvi chi può mandare i propri figli nelle università americane.