Se il Pd vuole avere un futuro dovrebbe promuovere la Gelmini e pure Renzi
22 Dicembre 2010
di Daniela Coli
Con un editoriale da anni ’70, Mario Calabresi ha parlato di politica blindata nel “Palazzo” a litigarsi, lontana dal “Paese”, e di “ragazzi senza futuro che giocano alla guerra”, senza una parola sui poliziotti, che per pochi euro al mese hanno rischiato l’osso del collo. La prova generale del 14 dicembre, però, c’era già stata il 30 novembre col tentativo di assaltare il parlamento mentre si votava la riforma Gelmini. Mercoledì 22, a tre giorni da Natale, il Senato voterà il ddl Gelmini e Roma teme una nuova giornata di violenza.
Da anni si parla dei mali dell’università e della necessità di cambiarla. Gli studenti sono le prime vittime del degrado dell’università, la maggioranza di essi lo sa, ma hanno paura di opporsi a una minoranza coccolata da docenti e rettori che vogliono lo status quo. La maggioranza degli studenti non va neppure alle assemblee e quando si chiede perché non si fanno sentire, scrollano la testa amareggiati. Anche negli anni ’70, la maggioranza degli studenti non era d’accordo con quanto accadeva, subiva docenti marxisti, i cui allievi oggi decidono il loro futuro, cercava di laurearsi in fretta e scappare dall’università. Nessun media si è mai occupato di loro. Nessuno li ha mai intervistati, nessuno ha mai dato voce al loro disagio, nessun opinion maker ha mai scritto di loro. Ci provò Tobagi e lo fecero fuori.
Mario Calabresi ha accostato gli studenti della guerriglia romana a quelli inglesi, senza rendersi conto che gli atenei british hanno avuto il via libera ad aumentare le tasse fino a 12mila euro, annullando di fatto il diritto allo studio. Pochi docenti inglesi si sono schierati con gli studenti, anzi per Cambridge occorrono tasse più alte: “Cambridge – ha dichiarato il corpo docente – non è Leeds, noi competiamo con Harvard, non con Leeds, non vogliamo perdere la nostra eccellenza”. La rabbia degli studenti inglesi è comprensibile, anche se, a parte l’attacco alla Rolls di Carlo e Camilla, a Londra non c’è stata la violenza di Roma.
La riforma Gelmini riguarda il reclutamento dei docenti, l’eliminazione dei concorsi taroccati, il familismo, l’incentivazione della ricerca e del merito ed è stata votata anche da forze politiche che non fanno parte della maggioranza. Sullo stato dell’università italiana c’è un’ampia letteratura, prese di posizioni di parti politiche diverse, basta ricordare le sferzate dell’ex-ministro Mussi. Fu Mussi a introdurre la valutazione dei dipartimenti da parte del ministero, una misura che il ministro Gelmini ha potenziato attraverso U-Gov, introdotto dal governo Prodi.
La guerriglia romana non può quindi essere letta come la protesta contro una riforma che toglie il futuro ai giovani. È il risultato del delirio di abbattere il tiranno, contro cui ci si rammarica – come la Spinelli – di non essere nel ’45, di non avere l’Italia a pezzi per poterlo impiccare a piazzale Loreto. E’ dalla crisi di una sinistra balcanizzata, incapace di esprimere un leader e una linea politica, che è nata la guerriglia di Roma. Alla protesta contro la riforma da parte dei ricercatori, a cui nessuno vieta di continuare a fare i ricercatori a vita, si è abbinata quella contro la finanziaria e contro il governo. È scattata l’illusione della spallata del compagno Fini, l’eroe dell’Andu (Associazione nazionale docenti universitari) e della Cgil. Granata sui tetti ha eccitato le fantasie e, anche se il Fli ha votato la riforma il 30 novembre si è diffusa la certezza della caduta del governo. Da qui i vandali del 14 dicembre.
Le immagini di Roma sott’attacco danno l’idea del caos mentale della sinistra: Bersani-Ferrini sui tetti è il simbolo dello sfacelo del Pd, che non è in grado come il Labour inglese di stare all’opposizione per anni e cambiare. Fini ha fatto un gioco spregiudicato, ha lanciato alla sinistra l’osso dell’antiberlusconismo e le ha fatto perdere la testa. Il presidente della Camera non ha soltanto stravolto un ruolo istituzionale come la terza carica dello Stato, ma è anche responsabile di avere giocato con una sinistra allo sbando. I “futuristi” non hanno lanciato un’opa solo sul centrodestra, ma anche sul Pd. Non sono riusciti a dividere il centrodestra, Fini ha preso una batosta il 14, ma sono riusciti a riportare in piazza la sinistra e a ridestare gli spiriti animali della presa del potere con la violenza che erano nel Dna del Pci e non sono mai del tutto scomparsi. Basta ricordare quanti brigatisti venivano dal Pci, che ora sono liberi di andare a fare conferenze all’università e verso i quali la sinistra ha sempre chiuso un occhio. Se gli studenti assaltassero il Senato il 22, facendo a pezzi il tiranno Berlusconi, Fini potrebbe presentarsi come l’uomo della provvidenza con gli applausi della sinistra, pronta a tutto pur di conservare lo status quo.
La sinistra sogna un nuovo lungo ‘68: la Finocchiaro, un ex magistrato, parla di infiltrati, come quando il Pci parlava di sedicenti brigate rosse e ci volle l’assassinio di Moro per ammettere che le br facevano parte dell’album di famiglia. Su Rep. Sofri butta di nuovo benzina sul fuoco. Per uscire dal vicolo cieco in cui si è messo, il Pd avrebbe Matteo Renzi, ma il sindaco di Firenze è sott’accusa per essere stato ad Arcore a parlare dei problemi di Firenze col Cav. In questi giorni Renzi, poi, viene attaccato per la neve che ha bloccato Firenze: mentre i media tuonano contro Renzi, la Cnn mostra l’Europa ferma sotto la morsa della neve e del freddo. Francoforte e Heathrow sono chiusi come l’aeroporto di Firenze, ma Aldo Grasso considera uno spettacolo indecente la Toscana gelata, come se l’inverno fosse colpa di Renzi e del Cav.
Renzi sarebbe il leader ideale di una sinistra moderna ed europea, con la voglia di fare politica invece di inseguire il sogno di abbattere Berlusconi per via giudiziaria o con un golpe. Renzi non piace ai diesse, né ai girotondini fiorentini: la vittoria alle comunali del giugno scorso è nata dallo scontro tra ex-dc ed ex-pci del Pd sul futuro di Firenze. Quella di Renzi è stata la vittoria dei fiorentini che non ce la fanno più a vedere Firenze ridotta a città cartolina, a Disneyland del Rinascimento. Nel declino di Firenze ha pesato – e molti diesse lo sanno – il diktat di Occhetto che nel 1989 con una telefonata da Roma fermò la realizzazione del progetto Fiat-Fondiaria alla periferia della città. Sembrava tutto fatto: sarebbero arrivati miliardi a Firenze, si sarebbero costruiti 4mila appartamenti – un miraggio per una città dove gli affitti sono alle stelle –, scuole, parcheggi, ristoranti, giardini, ipermercati, alberghi, uffici, un grande centro espositivo, più la riorganizzazione dell’area Novoli. Si sarebbero costruite metropolitane per aggiungere il centro e si sarebbe risolto anche l’annoso problema dell’aeroporto. Nel diktat di Occhetto influirono le lobby fiorentine che ancora oggi si lamentano per la modernizzazione di Firenze capitale, quelle che vivono di rendita sul patrimonio artistico e culturale della città, che non è neppure curato e conservato, ma abbandonato, consumato, violentato. Smontato pezzo per pezzo il piano Fiat-Fondiaria, è sorta però Firenze Nova, a nord-ovest di Firenze, una zona residenziale e industriale, dove si trova anche il Polo Universitario, ma c’è bisogno di fare di più e di affrontare il problema di far convivere nel centro storico il nuovo col passato e, soprattutto, di misure radicali per risanare una città che si allaga a ogni temporale.
È della legge speciale per Firenze che Renzi è andato a parlare col Cav. Renzi è post-ideologico come il Cav., aspetta a gloria il federalismo e soprattutto non vuole un partito come quello novecentesco che vuole Fini, simile al Pnf e al Pci, dove il segretario con una telefonata da Roma blocca il futuro di una città, un partito di cui Firenze ha sofferto sulla pelle le conseguenze. Se il Pd vuole un futuro dovrebbe puntare su Renzi, dovrebbe avere il coraggio di rottamarsi, di demolire quelle macchine da guerra di magistrati e accademici che hanno prodotto la guerriglia di Roma, ma il Pd è frantumato in tanti leader e non è in grado di capire l’importanza della sfida di questo trentacinque tosto e pragmatico.
La sinistra cavalca il disagio sociale di una crisi economica globale e di una crisi monetaria per legittimare la guerriglia romana come rivolta sociale e non si rende conto che la Germania sta fronteggiando meglio la crisi, perché gli scioperi politici sono proibiti e gli scioperi generali rari come quelli salariali. La violenza politica fa il gioco di Berlusconi, sostiene D’Alema, come negli anni ’70 faceva il Pci, anche se il rottamatore Renzi potrebbe spiegargli che la violenza politica è la negazione della legalità e non fa parte del vocabolario delle democrazie occidentali. Da un timido tentativo di riformare l’università, per cui sarebbero necessarie misure più radicali, siamo arrivati a temere che a tre giorni da Natale, quando la gente ha voglia di andare in centro a comprare qualche regalo, Roma sia di nuovo messa a ferro a fuoco da una violenza alla cui base c’è soltanto il delirio di una sinistra chiusa nel passato e incapace di pensare al futuro.