Se il Pdl ha un progetto batta un colpo e lo faccia sentire

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Se il Pdl ha un progetto batta un colpo e lo faccia sentire

16 Aprile 2012

“L’Occidentale” mi permetterà, come ha sempre fatto, qualche ruvidezza politica che può risultare sgradevole a tanti lettori, consentendomi di esercitare ancora una volta quella libertà di espressione che è merce sempre più rara nel nostro tempo avvolto da una cortina di ipocrisia che aggrava i problemi piuttosto che risolverli. E’ per questo che provare a dire ciò che si pensa, con spirito beninteso costruttivo e affatto malevolo per quanto necessariamente critico sul Pdl, il centrodestra, le componenti del “mondo moderato” ritengo sia necessario e salutare.

Da questo sito, con questa rubrica, ormai da circa due anni, settimanalmente, mi sono interrogato, non retoricamente spero, sui destini di quello che aveva l’ambizione di costituire un polo di attrazione politica capace di irradiare la passione per una tranquilla rivoluzione italiana orientata alla modernizzazione del Paese ed alla conservazione dei principi non negoziabili tipici della nostra cultura nazionale. E interrogativo dopo interrogativo, passando da una delusione all’altra, con un pessimismo crescente mitigato soltanto nel luglio dell’anno scorso dalla speranza accesasi con la designazione e l’elezione di Angelino Alfano alla segreteria del partito, sono arrivato alla conclusione che il Pdl potrebbe avere un avvenire soltanto se mutasse profondamente pelle, se si desse un’identità culturale, se individuasse la strada da percorrere, se si organizzasse come un partito vero, se fosse presente con le sue strutture nei più piccoli villaggi come nelle grandi città, se realizzasse che una nuova cultura dovrebbe cementarlo dopo aver riposto tutte le categorie che fin qui lo hanno incatenato ad una progettualità pallida, priva di appeal, sbiadita come una giornata di primavera senza sole.

Non mi hanno convinto, in tema di presunto rinnovamento, la campagna per il tesseramento che ha fatto fiorire querelles infinite contribuendo a lacerare rapporti interni già precari; la stagione dei congressi senza tesi ma abbondanti di personalismi che hanno prodotto spaccature forse insanabili tra le componenti del Pdl; l’appiattimento che si vorrebbe, da parte di qualcuno, “strategico” sulla costruzione di una sezione italiana del Ppe: che cosa significa e perché questa necessità quando il Pdl è già parte della famiglia europea popolare post-democristiana, ma anche conservatrice?

Ho l’impressione che la classe dirigente di questo partito, invece di riflettere sulle ragioni della sua perdita di consenso stia tentando la pesca delle occasioni per dimostrare una pallida vitalità che certamente non le consentirà di risalire la china e formulare una proposta credibile. E nel novero di questa singolare pesca rientrano l’ipotesi di una nuova legge elettorale che, se fosse portata all’approvazione, getterebbe a mare il bipolarismo e quel poco di democrazia partecipativa e decidente che è stata faticosamente conquistata e che avrebbe dovuto inspirare la riforma costituzionale che non può avvenire (e non avverrà) nelle segrete stanze del Palazzo, ma soltanto alla luce del sole, attraverso la convocazione di un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale, non diversamente da quanto accadde nel 1946. Questa potrebbe essere una efficace bandiera per il Pdl, ma non sembra si abbia molta voglia di agitarla.

Ci si incanaglisce, poi, sul finanziamento pubblico ai partiti, insieme con gli altri partner di maggioranza, ma senza venire a capo di nulla ed anche questo l’elettorato di centrodestra non lo apprezza, mentre sarebbe incline ad assistere allo smarcamento del Pdl al riguardo con una proposta concreta e accettabile, corredata da un gesto simbolico (ma sostanziale) come la rinuncia alla trance di 100 milioni di euro: si può campare lo stesso, credo, ricordando la mia antica provenienza da un partito che non si vergognava, prima che venisse introdotto in finanziamento di Stato, di raccogliere fondi come collette popolari: i tempi sono cambiati, la politica costa e non è il caso di farsi eccessive illusioni, ma limitare i danni si può anche senza ricorrere al vagheggiato 5 per mille destinato ad un clamoroso insuccesso, come già sperimentammo in passato stante il discredito di cui godono i partiti, tutti i partiti.

Potrei seguitare. Per chiedere qual è la posizione del Pdl sull’Europa, sul governo che verrà o dovrebbe venire, sull’impoverimento della nazione, sull’emarginazione di ceti che fino a poco tempo fa erano emergenti ed oggi sono in caduta libera, sul complesso di immoralità pubblica che caratterizza la politica e come intende atteggiarsi sulla corruzione in genere e su quella nella pubblica amministrazione in particolare. E rispetto al quadro internazionale? Oggi la politica estera si gioca sul piano della tutela dei diritti e della salvaguardia delle sovranità dei popoli: non mi sembra che siano in cima ai pensieri di un partito che dovrebbe essere “globale” come il Pdl.

Notazione a margine di un disagio politico. Alfano, se non ricordo male, all’atto della sua plebiscitaria elezione pose l’accento sulla meritocrazia e condannò senza mezzi termini le mini-diaspore che affliggevano il partito. Della prima si sono perse le tracce. Della seconda questione si è fatto finta di dimenticarla: le vecchie correnti si costituiscono in liste ed è tutto un fiorire lungo la Penisola di blocchi contrapposti facenti però capo comunque al Pdl. Una bizzarria intollerabile.

Il Maldestro sarà anche insopportabile. Ma invecchiando non perde l’antica passione per la politica come militanza attiva. Vorrebbe che i più giovani volgessero per qualche attimo uno sguardo al passato e si chiedessero che cosa motiva la loro collocazione in un certo luogo politico piuttosto che in un altro. La buona politica si sviluppa sulla buona cultura. Diversamente, il deserto è destinato ad allargarsi a dismisura. E mi intristisce che le idee di movimenti un tempo fiorenti, ricchi di intelligenze, oggi confluiti in un contenitore nel quale l’amalgama non è riuscito, si spengano davanti alla contemplazione del nulla o, ancora peggio, nel carrierismo più avvilente.