“Se il Pdl non toglie certe nomenclature, rischiamo di finire tutti ex”

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“Se il Pdl non toglie certe nomenclature, rischiamo di finire tutti ex”

28 Maggio 2012

Né Renzi, né Grillo. In realtà, un po’ rottamatori lo sono, anche se rifiutano la definizione. Non impugnano la scopa maroniana della pulizia, ma chiedono un cambio di passo al Pdl. Detto così, può sembrare l’ennesimo slogan nel tempo in cui ‘fa figo’ urlare ‘largo ai giovani’, spesso a prescindere. Nel caso specifico non è questa l’impressione perché a invocare la svolta sono giovani amministratori locali ed eletti, abituati a fare i conti coi problemi dei cittadini e con l’elettorato. Sono i pidiellini di ‘Fuori’ guidati dal bolognese Galeazzo Bignami, classe ’75, gavetta politica (nelle file del Fuan) iniziata a 18 anni con l’elezione a consigliere di quartiere. Oggi è consigliere regionale con al seguito oltre tredicimila voti e la convinzione che il cambiamento passa da due parole-chiave: merito e territorio.

‘Fuori’ è l’iniziativa messa in piazza lo scorso fine settimana a Bologna, in contemporanea con quella di ‘formattiamoilPdl’ capitanati dal sindaco trentenne di Pavia Alessandro Cattaneo. L’unità di intenti sta in una parola: rinnovamento. Obiettivo comune: far arrivare il messaggio a Roma. Destinatario, Angelino Alfano.

Bignami perché ‘Fuori’? E ‘Fuori’ da cosa?

E’ l’apertura di un ragionamento di cambiamento. Vuol dire fuori il coraggio di dire le cose come stanno, fuori lo Stato dalle tasche dei cittadini, fuori i soldi per le imprese; vuol dire fuori dal parlamento i politici condannati e fuori i nominati.

Cos’è, vi siete lasciati condizionare dai grillini?

No. Siamo partiti un anno fa con un’iniziativa analoga dopo le sconfitte a Milano, Napoli e Torino. C’era stato detto che di lì a poco ci sarebbero stati cambiamenti dentro il partito, a partire dall’incarico ad Alfano che abbiamo salutato con soddisfazione. Poi, però, il Pdl è rimasto ancorato a certi schemi…

Quali?

C’è una tendenza molto romano-centrica e poco attenta a valorizzare i due antidoti che secondo noi sono molto importanti: merito e territorio.

Cos’è mancato finora al partito?

Il coraggio. Se il 22 aprile 2010 dopo la rottura tra Berlusconi e Fini avessimo avuto il coraggio di tornare al voto o ancora il 14 dicembre di due anni fa, non saremmo in questa condizione. È mancato il coraggio di attuare la rivoluzione liberale che è stata e resta la mission del partito.

Alfano ha voluto fortemente i congressi. Qualcosa si è mosso.

A livello organizzativo il passaggio dei congressi è stato importante perché siamo passati dalla logica dei nominati a quella della scelta da parte degli iscritti. Non basta però, occorre andare fino in fondo: non più nominati in parlamento ma eletti selezionati dalla base.

Come?

Preferenze o primarie. Non è tanto il problema dello strumento, quanto che sia rispettato il principio e il principio è: dare a chi vive il territorio la possibilità di scegliere.

Eppure tra primarie e preferenze la differenza non è irrilevante, come peraltro dimostrano le fibrillazioni tra componenti interne al Pdl. Parte degli ex An, ad esempio, guardano con maggiore interesse alla reintroduzione delle preferenze. Lei viene da quell’area politica, come risponde?

Premessa: qui a forza di distinguere tra ex Fi ed ex An, rischiamo di finire tutti ex Pdl. Sul territorio tutto ciò non esiste e la gente se ne frega se uno viene da Fi o da An, ciò che conta è che sia all’altezza del compito che è chiamato a svolgere, e non per nomina ma per merito. Non ci incartiamo su preferenze o primarie, consideriamo già un passo avanti il fatto di ragionare sullo strumento. Oggi, in realtà, non c’è né l’uno né l’altro.

Non ha risposto alla domanda sulla sindrome del grillismo…

Nella nostra regione abbiamo preso in piena faccia l’ondata del grillismo: a Comacchio il sindaco di centrodestra è stato commissariato e il Pdl è passato dal 40 al 10 per cento; a Parma idem, con il partito passato dal 42 al 4.5 per cento. In entrambi i casi ha vinto Grillo. Noi avevamo già intuito che poteva finire così dopo la sconfitta a Napoli, Milano e Torino; adesso siamo a farci i conti. Più che grillismo in sé, direi che alla base del fenomeno c’è un malcontento dell’elettorato che Grillo è riuscito a intercettare e che noi dobbiamo tenere in seria considerazione. Non abbiamo niente a che spartire con Renzi che ne fa una questione di singoli dirigenti, tantomeno coi grillini, troppo corrosivi. Noi siamo altro e il nostro atteggiamento è assolutamente costruttivo.

Come giudica l’azione di Alfano?

Credo abbia molto desiderio di introdurre elementi di cambiamento ma forse è condizionato da chi oggi pensa di essere penalizzato da un rinnovamento che parte dal basso.

A chi si riferisce?

Penso a tutti quegli esponenti di partito nominati che farebbero sicuramente fatica a prendere consensi sul territorio.

‘Fuori’ che evoluzione avrà?

Nasce a Bologna, poi è passata a livello regionale e sabato scorso ha avuto una connotazione extraregionale. E’ un’iniziativa che intendiamo replicare anche in altre realtà e il nostro obiettivo è elaborare una piattaforma di proposte da sottoporre ad Alfano. Ricordo che al primo punto del nostro volantino c’è la riforma dello Stato in senso presidenziale e da questo punto di vista ci fa piacere la proposta di Berlusconi-Alfano.

Altre questioni che ritenere prioritarie?

Abbattimento della spesa pubblica.

In che modo?

Rivedendo le burocrazie interne, le sovrastrutture come gli otto livelli di governo del territorio che vanno superati: oggi si va dal quartiere alla comunità montana, alla regione, alla provincia. Eppoi il capitolo dei manager pubblici: insostenibile che abbiano stipendi superiori a quello del capo dello Stato.

E sul piano politico?

Dimezzamento dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto e dunque Senato delle regioni, solo per citare alcune questioni.

Ma è quello che il Pdl sta portando avanti, ad esempio in Senato.

Certo, occorre però andare fino in fondo. Chi ci indica come rottamatori non ha compreso la nostra sollecitazione. Vedo molto timore in alcune nomenclature. Noi non vogliamo discutere di classe dirigente, bensì di chi fa cosa. Non ci riteniamo più bravi di altri, ma vogliamo affermare la capacità di confronto sui fatti concreti. Non dimentichiamo che oggi il Pdl è il principale azionista di maggioranza del governo Monti…

E quindi?

Dobbiamo portare a casa i risultati, la gente vuole concretezza. Se nell’arco di qualche mese i risultati non ci sono, pensiamo che il Pdl debba prendere le distanze da questo esecutivo.

Sta dicendo al suo partito di staccare la spina?

Se non arrivano risultati sì. Monti era partito con grandi aspettative ma adesso è fermo. La Fornero aveva detto che entro il 21 marzo c’era la riforma del mercato del lavoro ‘volenti o nolenti’ ma così non è. Sul fronte delle riforme istituzionali il Pdl aveva posto la questione del ridimensionamento dei livelli di governo, degli stipendi dei manager pubblici eppure ancora non c’è granchè. Per questo credo sia necessario mettere un timing.

Ci siete voi di ‘Fuori’, poi ci sono i ‘formattatori’ del Pd. State riproponendo lo schema correntizio di partito?

C’è grande sintonia, nessuna competitività proprio perché il messaggio è comune. Ci è dispiaciuto non essere con loro lo scorso fine settimana perchè la concomitanza delle due iniziative ce lo ha impedito. Stiamo pensando a un’iniziativa di raccordo.

Il nuovo corso del partito passa anche dal rinnovamento della classe dirigente?

 Quando abbiamo aperto i lavori della nostra iniziativa a Bologna è intervenuto un bersagliere di 92 anni che ha detto ‘rottamiamoli tutti’. Io dico: non è un problema di anagrafe, bensì di mentalità e per noi la logica di fondo sta nel superamento dello schema delle nomine. Personalmente non mi considero migliore o peggiore di altri, ma è chiaro che se fossi al posto di un parlamentare nominato avrei timore perché dovrei misurarmi direttamente con il consenso della gente e dunque col territorio.

Il radicamento sul territorio è un refrain diffuso. Ma nel Pdl c’è o non c’è?

Esiste la buona volontà dei singoli dirigenti, ma questa deve essere una cosa strutturale. Io ho esordito come consigliere di quartiere a 18 anni e questo dimostra che non sono un giovane da avviare alla politica, eppure sono andato avanti conquistandomi preferenze e consensi. Ogni cinque anni tornavo dal mio datore di lavoro – gli elettori – e in tutto questo tempo non ho mai perso voti.

C’è o non c’è il radicamento?

Oggi non c’è perché non c’è la capacità del partito di dire a tutti i dirigenti, cominciando dagli ex ministri, di fare attività politica tra la gente. La gente vuole i fatti e noi dobbiamo portare a casa i risultati.

L’età anagrafica fa il merito?

Il Trota era pur giovane…Penso che un giovane che si impegna in politica non possa avere una professionalità tale da comprendere subito i meccanismi istituzionali; per questo il partito deve farlo crescere, formarlo e poi considerarlo come un’opportunità, non un peso.

C’è stato finora questo impegno?

No, tranne in qualche realtà locale. A me il partito ha insegnato a crescere ma il punto è che o si dà un approccio organico come, appunto, la presenza sul territorio, o non ne usciamo.

Favorevole o contrario alla federazione dei moderati?

Sono scelte tattiche e di alleanza che non spostano il problema: il Pdl deve tornare sul territorio e portare risultati. Noi diciamo che il partito deve recuperare la sua identità riformista e liberale attualmente sbiadita.

Che succede nel 2013?

Se non cambia la legge elettorale vedo difficile un reale cambiamento.

Pessimista, perché?

Perché mantenendo questo sistema elettorale, chi oggi gestisce gli apparati può conservare quote di potere.

Qual è la soluzione che proponete?

Siamo per l’impianto bipolare e il premio di maggioranza ; ciò che c’è va corretto con la scelta degli eletti che deve tornare nelle mani degli elettori.

Lei è considerato un ‘berluscones’. Dove ha sbagliato il Cav.?

È stato imprudente, cioè si è fidato di persone di cui non avrebbe dovuto fidarsi e per questo ha fatto scelte che poi si sono rivelate inopportune. Berlusconi si è reso conto che non riusciva a completare il cambiamento, quella rivoluzione liberale che aveva promesso ai cittadini e l’ha messa in stand by. Oggi scontiamo quell’errore.

Secondo lei si ricandiderà alle politiche o si dedicherà al ruolo di padre nobile del Pdl?

Il punto è porre Alfano nelle condizioni di prendere in mano il partito in tutto e per tutto. Anche liberandolo dai condizionamenti di qualche dirigente che, invece, sta tentando di condizionarlo. Io sono moderatamente pessimista, perchè l’idea che abbiamo dalla periferia è che nel Pdl ci sono dirigenti molto capaci eppure non tenuti adeguatamente in considerazione. Penso a Sacconi che ha grandi capacità ma nella struttura di partito c’è poco; penso a Frattini, alla Meloni a Quagliariello. Oggi li vediamo come ottimi esponenti di governo ma meno determinanti a livello di partito. Il problema è che chi ha quote di potere personale non intende cedere il passo ad altri. E’ questo meccanismo che va cancellato.