Se il peso del debito pubblico rallenta le decisioni politiche

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se il peso del debito pubblico rallenta le decisioni politiche

16 Aprile 2009

 

Dai dati diffusi appena due giorni fa dalla Banca d’Italia il debito pubblico è in crescita e le entrate sono diminuite a febbraio del 9,6%  rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Il fatto non sorprende, visto che è conseguenza diretta della decrescita economica. Non sorprende, ma preoccupa. Anche perché il prossimo anno, con una crescita stimata negativa, il rapporto debito/Pil è previsto crescere ancora. Quando il denominatore del rapporto, ovvero la crescita, si avvicina allo zero o è addirittura negativa, tutto diventa molto più arduo. Inoltre, la recessione fa diminuire le entrate fiscali, incidendo negativamente  sull’avanzo primario. Se a tutto ciò aggiungiamo che vi è poco spazio per misure straordinarie, come le privatizzazioni, perché non vi è più molto da privatizzare, e se aggiungiamo che i crediti commerciali della PA ammontano ad oltre 30 miliardi di euro, e prima o poi andranno onorati, allora la situazione si fa decisamente difficile.

Ma vediamo di capire, in estrema sintesi, origine e “meccanica” del fenomeno del debito pubblico italiano. Come noto, l’Italia ha il terzo debito pubblico del mondo, con un rapporto debito/Pil pari al doppio di quello della media europea. La sua abnorme dimensione è una eredità degli anni settanta ed ottanta, ovvero di due decenni di ininterrotti disavanzi primari. Mentre nello stesso periodo Germania, Francia e Regno Unito aumentavano la pressione fiscale di oltre 10 punti di Pil, per sostenere le spese del crescente stato sociale,  il nostro Paese la lasciava invariata e finanziava la spesa a debito. Il resto l’ha fatto la crisi del Sistema monetario europeo (Sme) nel periodo 1992-94, provocando una crescita del rapporto, in soli quattro anni, di oltre 17 punti percentuali! Per capirci, a confronto, la privatizzazione di tutto il sistema bancario italiano e delle aziende del sistema delle partecipazioni statali, in poco più di dieci anni, hanno contribuito a ridurre il debito pubblico di “soli” 14 punti di Pil. Grazie anche a ciò, tuttavia, dal 1994 in poi il rapporto ha cominciato una lenta discesa, passando dal picco del 124,4% del Pil al 103,5% del 2007. Nel 2008 il rapporto torna a salire raggiungendo il 105,8%. La Nota informativa 2009-2011, pubblicata dal Governo a febbraio indica per il 2009 un rapporto debito/Pil pari 110,5% (in crescita di circa 5 punti percentuali).

Per comprendere il fenomeno bisogna risalire ai fattori che determinano l’evoluzione del rapporto debito/Pil. Essi sono: l’avanzo (disavanzo) primario, il divario tra il costo medio del debito ed il tasso nominale del Pil e la componente residuale. Il primo fattore misura il contributo dell’avanzo primario, ovvero la differenza tra entrate totali e spese totali al netto degli interessi, alla diminuzione (o aumento) del rapporto. Dal 1992 ad oggi la spesa primaria ha mostrato un trend decrescente piuttosto moderato. È diminuita invece in maniera significativa la spesa per interessi, che è passata dal 12,6% del 1992 al 5,1% del 2008. Anche sul fronte delle entrate la dinamica è stata piuttosto costante . Hanno contribuito a raggiungere questo risultato, senza ulteriormente inasprire la pressione fiscale (che nel periodo è diminuita passando dal 44% del 1993 al 42,8% del 2008), una serie di operazioni una tantum. Esse nel solo periodo 1997-2005 sono ammontate, nella media annuale, a circa il 0,8% di Pil ed hanno incluso: l’Eurotassa, la vendita di licenze UMTS,  condoni fiscali, il condono edilizio, il concordato fiscale, lo scudo fiscale e le dismissioni immobiliari. Quindi una parte dell’avanzo primario è stato ottenuto, non da modifiche permanenti sulla dinamica spese/entrate, ma da operazioni non ripetibili.

Il secondo fattore da conto degli effetti dei tassi di interesse e della crescita nominale dell’economia sull’andamento del rapporto debito/Pil. È conosciuto anche come l’effetto snow-ball (“palla di neve”). Misura il divario tra l’onere medio del debito ed il tasso di crescita nominale dell’economia (che, come noto, è composto dalla crescita reale e dall’inflazione). In altre parole esso misura l’effetto negativo del pagamento degli interessi sul debito pregresso e l’effetto positivo della crescita dell’economia alla riduzione del rapporto debito/Pil. Più bassi i tassi di interesse e più alta la crescita nominale del Pil, meno forte è il contributo di questa componente alla crescita del rapporto. Per esempio, nel 1993 tale fattore aveva raggiunto un picco del 10% (dovuto alla pessima combinazione di:  altissimi tassi di interesse in seguito alle speculazioni su alcune valute dello SME che avevano portato il costo medio del debito italiano ad un picco del 12,4%, ad un bassissimo tasso di crescita reale pari allo 0,8% ed una inflazione del 4,4%). Negli anni successivi l’effetto negativo di questo fattore è andato via via riducendosi assestandosi dal 2000 in poi intorno ad una media del 2%.  Con la discesa del Pil prevista per il 2009 e per il 2010 questo fattore potrebbe tornare ad incidere in maniera molto negativa sul rapporto debito/Pil.

Il terzo fattore è la cosiddetta “componente residuale”. Essa è composta da tutti quei fattori che lasciano invariato l’indebitamento, ma aumentano o diminuiscono lo stock di debito pubblico. Essa è quindi determinata dalla variazione (residuo) del rapporto debito/Pil non spiegata dagli altri due fattori espliciti. Tra esse, alcune diminuiscono ed altre aumentano il rapporto debito/Pil. Per esempio, le privatizzazioni e le cartolarizzazioni di crediti  diminuiscono il debito pubblico; mentre   gli aumenti di capitale alle società partecipate o il ripianamento dei debiti commerciali della PA  lo aumentano.  A ridurre il debito, tra le altre, hanno avuto un ruolo significativo i proventi delle privatizzazioni. Nel solo periodo 1997-2005 esse sono ammontati a 77 miliardi di euro. A fronte di ciò il Tesoro ha effettuato aumenti di capitale a FS ed Anas pari a circa 38 miliardi di euro. Quindi circa la metà dei proventi delle privatizzazioni sono andati a coprire la necessità di capitale delle due grandi società pubbliche che si occupano di strade ed autostrade e di ferrovie.  Sul fronte delle poste più pesanti che hanno aumentato il debito vi sono invece, ad esempio, il ripianamento dei debiti della sanità che sono ammontati, nello stesso periodo, ad oltre 79 miliardi di euro. D’altra parte hanno contribuito in maniera significativa alla riduzione del debito pubblico le cartolarizzazioni di crediti pubblici che sono state pari, nel periodo, a circa 26 miliardi di euro.

Abbiamo visto come l’evoluzione del rapporto debito/Pil dipenda in larga parte dall’andamento del Pil. In recessione il debito pubblico aumenta automaticamente, anche in maniera piuttosto significativa. Dal 1992 in poi l’Italia, dal punto di vista del rigore di finanza pubblica, è stato forse il paese europeo più virtuoso d’Europa. Il consolidamento, tuttavia, è avvenuto prevalentemente grazie al calo dei tassi di interesse in seguito all’ingresso nell’euro e grazie ad una serie di operazioni straordinarie non ripetibili. Poco si è riusciti a fare sul fronte della riduzione della spesa, anche perché oltre l’80% di essa è spesa sociale (pensioni, sanità, pubblico impiego), riguarda impegni di lungo periodo già contratti, e quindi viene considerata difficilmente comprimibile.

In conclusione, il debito pubblico ha rappresentato e rappresenterà un fardello per l’economia del nostro Paese. Per certi versi appare essere un problema non risolubile a breve. È  stato calcolato che dal 1992 ad oggi il nostro Paese ha speso, per la quota di debito eccedente la soglia europea del 60%, quasi 1000 miliardi di euro in più di Francia e Germania. Si tratta di circa 35 miliardi di euro all’anno per 16 anni!

Non stupisca quindi che le risorse per fare delle politiche, perché le politiche possibili a costo zero sono davvero poche, sono state in questi anni molto scarse. Ciò ha probabilmente contribuito ad una certa disaffezione dei cittadini verso la politica stessa. Un problema che, come abbiamo cercato di dimostrare, dipende poco dai Governi che si sono succeduti negli ultimi 15 anni e molto dalla rigidità della spesa sociale e da un costo per il servizio del debito “eccezionale”. La  responsabilità di tutto ciò ricade sui Governi che hanno creato il grande debito pubblico italiano negli anni settanta ed ottanta e che portano su sé una grave responsabilità verso le generazioni presenti e future.