Se il principe sposa un uomo: questo significa “educare i bambini alla diversità”?

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Se il principe sposa un uomo: questo significa “educare i bambini alla diversità”?

28 Ottobre 2018

Un tempo, ormai davvero molti anni fa, ai bambini di scuola elementare si chiedeva di esercitare la scrittura in brevi composizioni ispirate a temi come “chi è il tuo amico preferito”, “quale paese vorresti visitare” o “descrivi la tua casa”. Erano spunti facili e leggeri, questi, pensati per educare i piccoli alla descrizione del mondo che li circondava e delle loro emozioni. Banalità, si direbbe, se paragonate agli esercizi di stile “politicamente corretto” chiesti in una scuola primariad’Inghilterra. In una classe dell’istituto Bewsey Lodge, a Warrington, nella contea di Cheshire, la maestra Sarah Hopson ha imposto ai bambini di sei anni lo svolgimento di un tema sull’amore omosessuale: “immagina di essere il principe Henry e di scrivere una lettera al tuo servo Thomas per chiedergli di sposarti”.

Non c’è età, è vero, per avvicinare i bambini al sentimento dell’amore: in fondo siamo tutti cresciuti con fiabe ispirate alla storia di principi e principesse destinate all’ovvio finale del “vissero tutti felici e contenti”. Ma forzare la fantasia di un bambino con storie costruite attorno a ruoli e trame che, da solo, forse non arriverebbe mai neppure a immaginare è un po’ prendersi gioco della loro innocenza.

Intervistata dalla BBC la maestra Hopson ha spiegato che si tratta, semplicemente, di “educare i piccoli alla diversità che prima o poi incontreranno nel mondo reale”. “Prima lo fanno – argomenta – meglio è per loro”. La scuola Bewsey Lodge, del resto, non è estranea a questa impostazione didattica, anzi. Come riportato a chiare lettere nella pagina web relativa ai programmi dell’istituto, ogni aspetto legato all’educazione e alla formazione dei bambini, dalle uniformi ai progetti di approfondimento, è orientato al “rispetto di ogni identità di genere e orientamento sessuale”, alla “prevenzione dell’omofobia e della transfobia”, all’”osservanza della legge inglese e di tutte le pratiche culturali e religiose ammesse”. Non è un caso, dunque, che a giugno la scuola abbia ricevuto il riconoscimento come miglior lavoro svolto in ambito educativo a favore della causa LGBT.

E’ omofobica, ci chiediamo, la pretesa di avere per i propri figli un’educazione primaria libera e onesta che non istighi i bambini a una visione “parziale” dell’amore? Qualcuno, a Warrington, ha provato (invano) a obiettare che questo approccio didattico è solo un subdolo strumento per imporre ai piccoli un’agenda politica che, nei fatti, interessa solo una parte del mondo degli adulti. Non hanno forse, i bambini, il diritto di rimanere fuori dall’offensiva culturale delle lobby gay e di scoprire da soli, nel tempo, chi e come amare?