
Se il Russiagate serve a destabilizzare Putin

14 Luglio 2017
Tornano i russi. Non i fantomatici hacker che avrebbero aiutato Trump a vincere le elezioni Usa e neppure i diplomatici che incontrarono il genero del Don, Kushner, a ridosso delle presidenziali, ma una ruspante avvocato russa che sempre in campagna elettorale avrebbe provato a piazzare informazioni scottanti su Hillary Clinton al figlio di Trump, Donald Jr. Anche quest’ultima puntata del “Russiagate” però, lo scandalo sulle presunte infiltrazioni russe nella vita politica americana, si sta sciogliendo rapidamente come neve al sole: il figlio di Trump ha pubblicato su Twitter le sue email sull’incontro con l’avvocato, in una prova di massima trasparenza suggerita da Julian Assange, fondatore di Wikileaks e grande fustigatore del malcostume in casa democratica.
Il dato che ci interessa sottolineare è però che il Russiagate non riguarda solo Trump e i suoi familiari, vittime, come dice il presidente, di una nuova “caccia alle streghe” in America. Con questa ossessione delle elites Usa sui russi, lo scandalo ormai viene usato anche come uno strumento politico utile a destabilizzare Putin. L’uomo di Leningrado, l’ex Kgb che Eltsin mise a capo dell’FSB, diventata oggi la più potente organizzazione in Russia, Vladimir Putin, appunto, si è dimostrato un avversario temibile per gli Stati Uniti, un leader dotato di grande fiuto politico e capace di muoversi da protagonista sulla scena internazionale.
Putin ha salvato la Federazione Russa dal fallimento quando negli anni Novanta lo stato veniva depredato dagli oligarchi (le “privatizzazioni selvagge”) e la maggioranza delle famiglie sognava di poter mandare i propri figli a lavorare all’estero. L’allargamento della NATO nell’Europa orientale, iniziato da Bush e proseguito da Obama, è stato un altro capitolo che Putin ha saputo gestire con accortezza, incuneandosi nel vuoto strategico aperto dalla presidenza Obama, in Siria e Medio Oriente come nell’Europa Orientale, pronto a combattere là dove vedeva minacciati gli interessi russi, come nel cortile di casa della Federazione, Crimea e Ucraina.
Anche a costo di forzare le regole democratiche e tappare la bocca alla opposizione interna e alla stampa non allineata, Putin ha rimesso la Russia al centro delle relazioni internazionali tra Usa e Cina. Il Pil del Paese è aumentato e oggi le famiglie sognano che i loro figli restino a lavorare a casa. Si tratta quindi di un leader che, difendendo l’interesse nazionale, ha incassato negli anni un enorme consenso in patria. Questo impedisce alle elite americane e occidentali, politiche e finanziarie, ai poteri forti del globalismo, di poter continuare a fare shopping dello Stato e delle risorse russe come avvenne dopo la fine dell’Unione Sovietica. Putin per questo con il passare del tempo è diventato un capo di stato sempre più sgradito perché considerato un argine alla mano libera degli interessi stranieri in Russia.
In uno scenario del genere, è evidente che il nuovo corso aperto da Trump verso Mosca, il riavvicinamento andato in scena al G20 di Amburgo tra Usa e Russia, che per inciso ha prodotto una tregua in Siria che dura ormai da diversi giorni, viene considerato un ostacolo insormontabile per quelle forze che sono ostili al Cremlino e che puntano a un eventuale cambio di regime nella Federazione. Tra Putin e Trump è scattata un “chimica positiva”, come ha detto il segretario di stato Tillerson dopo il G20. E così, con la precisione di un orologio svizzero, ecco andare in onda una nuova puntata della telenovela sul “Russiagate”, ecco spuntare un altro scandalo, che ha come bersaglio il figlio di Trump ma serve anche ad alimentare la retorica sulla ‘invasione russa’ degli Usa, hacker, feluche e avvocati tutti al soldo di Putin per manovrare Trump. Siamo nel regno delle bufale, le “fake news”.
Ma ripensando al tweet di ieri di Assange, anche questa storia sull’avvocato che voleva vendere i segreti della Clinton al figlio di Trump, prima di finire nella spazzatura insieme alle altre fake news, potrebbe riservare qualche sgradita sorpresa a chi pensava di avere in mano la “pistola fumante” contro il presidente degli Usa e quello russo. Ovvero, non sarà che Wikileaks è pronta a un nuovo rilascio di informazioni riservate proprio su Hillary Clinton e che anche questa puntata del Russiagate diventerà un boomerang per i Democratici?