La crisi finanziaria sta danneggiando più la posizione russa che quella occidentale nella competizione per lo sfruttamento del gas in Asia centrale, ma gli europei devono fare di più per cogliere questa opportunità e rompere la dipendenza energetica da Mosca. E’ questo uno dei più interessanti spunti emersi nel dibattito che si è svolto lo scorso 10 dicembre presso il prestigioso centro studi di Londra IISS (International Institute for Strategic Studies), ospite d’onore Boyden Gray, l’inviato speciale dell’amministrazione Bush per la Eurasian Energy Diplomacy, già ambasciatore presso l’Unione Europea nel 2006/2007 e in precedenza Consigliere di Bush Senior. Se il XIX secolo è stato il secolo del carbone e il XX quello del petrolio, il XXI sarà il secolo del gas.
Questo contesto aumenta la dipendenza dell’UE dalla Russia, in particolare dal monopolista energetico a controllo statale Gazprom, ponendo una seria minaccia alla sicurezza energetica dell’Europa. Per affrontare tale pericolosa condizione di dipendenza, l’UE dovrebbe da un lato premere sulla Russia affinché apra il mercato della produzione – in pratica lo sfruttamento dei giacimenti – a produttori europei, e dall’altro lato integrare maggiormente i mercati energetici nazionali all’interno dell’UE per avere una maggiore efficienza nello stoccaggio e trasporto di gas e idrocarburi. Entrambe le politiche non sono però sufficienti a spezzare la dipendenza da Mosca, che può essere superata solo se l’Europa riuscirà a sviluppare uno sfruttamento autonomo dei giacimenti dell’Asia centrale fuori dal territorio russo.
In quest’ottica sono cruciali i giacimenti di gas presenti intorno al Mar Caspio, in particolare in Turkmenistan, Azerbaigian e Kazakhstan. Lo sfruttamento di tali giacimenti presenta due ordini di problemi. Il primo è la competizione per i diritti di estrazione tra le compagnie occidentali e quelle controllate dai governi di Mosca e Pechino. Da parte loro i Paesi che ospitano i giacimenti hanno tutto l’interesse a diversificare i propri clienti, utilizzando la concorrenza per accrescere i vantaggi economici (e non solo) ottenibili in cambio del prezioso gas.
La seconda questione è il ruolo della Turchia. Ankara ospita sul proprio territorio la pipeline Baku-Tbilisi-Ceylan (BTC), che trasporta gas e petrolio dal Caspio al Mediterraneo senza passare per il territorio – e quindi sotto il controllo – della Russia. La Turchia deve fronteggiare un crescente fabbisogno di energia e la necessità di modernizzare le proprie infrastrutture energetiche, tuttavia a quanto emerso dal convegno c’è un fermo impegno delle autorità turche per garantire la connessione dei mercati e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
Questo impegno è particolarmente importante perché la Turchia costituisce il ponte obbligato tra le progettate pipelines Nabucco e Trans-Caspian Pipeline. Da un lato infatti il gasdotto Nabucco dovrebbe allacciarci alla rete turca per portare il gas attraverso Bulgaria, Romania e Ungheria fino all’hub austriaco di Baumgarten an der March, da dove è possibile la connessione alle principali rete europee. Dall’altro la Trans-Caspian pipeline correndo sotto il Mar Caspio dovrebbe collegare i giacimenti del Turkhmenistan al BTC e quindi al Nabucco via Turchia.
Lo scorso 11 giugno l’Azerbaigian aveva firmato un primo contratto per fornire il gas al consorzio gestore del Nabucco, consorzio fortemente sostenuto dall’Unione Europea anche attraverso specifici finanziamenti, e appoggiato dagli Stati Uniti. Ma dopo la guerra in Georgia la Russia ha intensificato la pressione sugli stati del suo “vicino estero” per ristabilire il proprio esclusivo controllo sulle risorse energetiche dell’area, continuando inoltre a sostenere il progetto alternative al Nabucco del South Stream che collegherebbe la Russia a Turchia e Balcani. Allo stesso tempo il Turkmenistan ha firmato un importante accordo con la Cina per vendere a Pechino una parte rilevante del proprio gas.
Qual è dunque la situazione attuale? Secondo le informazioni e le analisi emerse nel convegno IISS, c’è ancora la volontà da parte sia di Turkmenistan che di Azerbaigian di vendere parte del proprio gas all’Europa tramite il Nabucco. Anche perché lo sfruttamento dei giacimenti richiede una tecnologia e un knowhow che al momento solo le compagnie occidentali possono offrire a costi e tempi sostenibili alla luce dell’attuale costo del petrolio. Infatti, un prezzo intorno ai 50/60 dollari al barile mette in una certa misura fuori mercato inefficienti compagnie nazionali come la Gazprom, rendendo necessario il ricorso da parte dei paesi produttori alle più efficienti multinazionali occidentali.
L’attuale crisi economica ha avuto anche altri effetti sulla questione, in parte inaspettati. Se è vero che la crisi riduce in una certa misura la liquidità a disposizione e la propensione al rischio economico in Occidente, comunque in Europa e Stati Uniti ci sono le risorse necessarie per investimenti energetici del genere. Invece la crisi danneggia molto di più la Russia, in due modi. In primo luogo, con l’attuale prezzo del petrolio, Gazprom sta accumulando debiti stimabili in 60 miliardi di dollari che riducono la sua capacità di proporsi come alternative alle multinazionali occidentali, e non è un caso il taglio della produzione recentemente deciso da Mosca per tentare di far salire il prezzo del petrolio. In secondo luogo, la contrazione degli investimenti internazionali sta colpendo duramente la Russia che non ha sviluppato negli anni scorsi una propria base industriale in settori non strettamente legati all’energia, indebolendo quindi la base economica della sua politica di potenza. C’e’ quindi l’opportunità per Europa, Stati Uniti e Turchia di dialogare efficacemente con i paesi del Mar Caspio e concretizzare le possibilità di uno sfruttamento delle risorse energetiche fuori dal controllo russo.
E’ però importante che UE e Stati Uniti si impegnino rapidamente e risolutamente per siglare gli accordi necessari a uno sfruttamento significativo e di lungo periodo dei giacimenti attorno al Mar Caspio, che garantisca la sicurezza energetica dell’Europa. Tra i partecipanti al convegno dell’IISS è emerso un cauto ottimismo in merito che dipende però dalla capacità dei paesi europei e dell’UE di impegnarsi maggiormente in merito. Infatti è stato ricordato come l’Amministrazione Clinton abbia iniziato il BTC e quella Bush l’abbia completato e che, ancora nel settembre del 2008, il vice presidente Cheney si è recato di persona in Azerbaigian anche per sostenere il progetto del Nabucco. Invece a distanza di quindici anni dal crollo dell’URSS molti paesi europei ancora non hanno una rappresentanza diplomatica in stati dell’Asia centrale, a partire dal Turkhmenistan.
Guardando infine al quadro geopolitico più ampio, sono emersi dal convegno altri due punti fermi rispetto a Iran e Iraq. Il primo, che si affaccia sulla parte meridionale del Mar Caspio, non può diventare nel prossimo futuro una alternativa per l’accesso al gas dell’Asia centrale, non solo per la cruciale questione del programma nucleare ma anche per la mancanza delle infrastrutture necessarie, che richiederebbe troppo tempo costruire. Situazione invece opposta per l’Iraq che, dopo il cambio di regime e il pieno reintegro nella comunità internazionale, è in grado di essere un partner energetico significativo per l’Occidente. Baghdad ha infatti importanti giacimenti energetici e sta rapidamente costruendo le infrastrutture necessarie per sfruttarli e collegarli alle pipelines BTC e Nabucco. Sempre che gli europei facciano la loro parte e trasformino il Nabucco il realtà prima che la Russia o la Cina li precedano nell’aggiudicarsi i giacimenti. Anche perché in questa gara chi arriva secondo non riceve nessun premio di consolazione.