Se in America vince Trump
11 Gennaio 2016
La Corea del Nord sperimenta una nuova bomba nucleare all’idrogeno? Il problema non è il giovane despota che regna nell’ultima provincia comunista, ma chi tira le fila a Pechino e non mette in riga il ragazzo. Le sanzioni occidentali contro la Russia di Putin? Una pazzia se davvero si pensa di voler vivere in un mondo pacifico, perché Mosca è fondamentale nella lotta all’Isis e contro il terrorismo islamico. L’Arabia Saudita ha esagerato con l’esecuzione del chierico sciita al-Nimri? Macché, la vera minaccia è l’Iran, che vuole i soldi, il petrolio di Riad, diventare lo stato guida del Medio Oriente. Quindi aiutiamo i sauditi, ma il nostro aiuto ha un prezzo, da quando quello del petrolio è crollato, infatti, l’America perde un miliardo di dollari di meno al giorno.
Ecco, la grande capacità che ha Donald Trump, il candidato alle primarie repubblicane verso la Casa Bianca, è di dire cose esageratamente di buonsenso. Cose che abitualmente si dicono solo in privato o tra gli addetti ai lavori, ma che “il Don” spara a pallettoni senza alcun riguardo per il bon ton del dibattito pubblico. Lo zibaldone di dichiarazioni che abbiamo appena riassunto, del resto, fa capire che in politica estera Trump ha le idee chiare. Idee che alla fine appaiono un po’ più concludenti di quelle dell’attuale presidente, per restare agli esteri. Ma vale la pena chiedersi perché Trump ricorra in modo così frequente a quelle sortite esplosive e politicamente scorrette che ogni volta rischiano di ritorcersi contro di lui. Cosa c’è dietro la battuta facile che tanto gli rimproverano.
E’ lo stesso Trump che dopo aver rotto i cosiddetti a Obama per la storia del certificato di nascita (il presidente fu costretto a produrne uno per arginare le polemiche), oggi ripete la stessa operazione un po’ sciacalla con il rivale repubblicano Ted Cruz. Lo stesso Don che dopo aver ribadito il secondo emendamento non si tocca, ha spiazzato tutti dicendo che lui alle lacrime di Obama ci crede, non sono state un trucco, il presidente americano si è commosso realmente parlando dei bambini ammazzati nelle strade di un’America sempre più armata e pericolosa. Uomo di testa, di panza e di core, il Don. Che però ha un problema. Non i sondaggi, anche l’ultimo fatto da NBC a ridosso di Capodanno lo dà saldamente in testa tra i repubblicani, molto avanti rispetto a Cruz e Rubio.
Il problema di Trump è un altro, la legittimazione politica. I salotti buoni d’America. Il Don non fa parte dell’establishment, non ha un cursus honorum tipico dei politicanti di Washington e questo, insieme alla abilità incendiaria del personaggio, spiega anche perché le spara così grosse. Cerca continuamente il consenso e sa che deve trovarlo nella base repubblicana. Per esempio tra i social conservative, che in passato ha blandito dichiarandosi “pro-life” ma che continuano a guardarlo con sospetto per la sua passione verso il gioco d’azzardo, quei casinò che gli fruttano una montagna di quattrini. Il gambler
rilancia di continuo, sperando di fare centro anche quando bleffa.
Trump ricorda un po’ il Bossi delle origini, e si inserisce perfettamente tra le fila dei nuovi leader definiti "populisti", quelli che saltano le mediazioni dei partiti, dei media e delle élite, per cercare il consenso diretto. Qualcuno lo ha paragonato a Silvio Berlusconi per la capacità istrionica (oltre che per essere due principi dei media), somiglianza che, in effetti, può starci, visto che anche il Cavaliere sparigliò per bene i palazzi del potere romano, insediandosi. Continueremo a seguire la campagna elettorale del Don, dunque, perché le più o meno velate riserve espresse sul personaggio da beneducati osservatori di cose americane di casa nostra non ci convincono, almeno per ora, completamente.
Costoro rischiano di restare col ditino alzato anchilosato se alla fine, dopo tanto interrogarsi su Jeb, Ted e Marco, la spuntasse proprio Donald. A quel punto, la già sgonfia Hillary potrebbe seriamente iniziare a preoccuparsi. Tutto questo senza nulla voler togliere al partito repubblicano, che alla lunga, tra mille incertezze e gravi sconfitte, ha risalito la china e oggi rimette in discussione al Congresso proprio il cuore del decennio obamiano, la tanto decantata riforma sanitaria.