“Se in Iraq vince il pluralismo si rafforzerà la democrazia”
09 Gennaio 2009
Samir Shakir Mahmood Sumaida’ie è l’ambasciatore iracheno a Washington dall’aprile del 2006. Durante il suo mandato ha visto il paese passare da una situazione apparentemente senza vie d’uscita a una dove il futuro può essere guardato con cauto ottimismo. Un futuro che sarà sempre di più nelle mani degli iracheni. Il cosiddetto Status of Forces Agreement o SOFA – ratificato dal parlamento il 27 novembre scorso e il 4 dicembre dalla Presidenza del Consiglio – trasferisce agli iracheni le responsabilità in materia di sicurezza in maniera graduale e fino al completo ritiro delle truppe americane previsto per il 2011.
Abbiamo intervistato l’ambasciatore iracheno che ci dice: “Siamo pronti ad affrontare gli impegni previsti dall’accordo con gli americani”. Riguardo a un ritiro anticipato delle truppe americane, promesso da Obama in campagna elettorale, Sumaida’ie non sembra troppo preoccupato: “Ho parlato con Obama e l’ho trovato molto attento e cauto, non è certo una persona che agisce d’impulso. Obama ha anche parlato con il nostro presidente e il nostro ministro degli esteri e, in ogni occasione, ha ribadito che non prenderà alcuna decisione senza prima consultarsi col governo iracheno”.
Sumaida’ie aggiunge che Obama gli ha detto che si sarebbe consultato con i suoi generali, gente che conosce la situazione sul terreno, prima di prendere delle decisioni riguardanti l’Iraq. “Peraltro – aggiunge – anche in campagna elettorale Obama aveva sempre parlato di un ritiro responsabile”. L’ambasciatore ricorda quanto sia cambiata la situazione dai suoi primi giorni in carica, quando in Iraq regnava il caos. Il cambiamento cominciò a manifestarsi nel febbraio del 2006, quando i terroristi fecero saltare in aria la cupola dorata del santuario di Al-Askariya a Samarra, uno dei luoghi più sacri dell’Islam sciita. “In quei giorni i terroristi dominavano la scena – ricorda – e gran parte del paese era una no-go area inaccessibile alle forze della sicurezza. Le uccisioni e i peggiori atti barbarici erano all’ordine del giorno. Le forze di polizia inesistenti o allo sbando. Le truppe della coalizione erano confinate nelle loro basi o venivano attaccate”.
Il capovolgimento della situazione è stato causato da una moltitudine di fattori fra cui spiccano l’aumento del contingente americano, la cosiddetta “surge”, e l’allineamento di forze irachene a fianco delle truppe della Coalizione occidentale, in particolare le tribù sunnite del movimento Sahwa (“il Risveglio”), stanche delle angherie e delle violenze praticate dai jihadisti legati ad Al-Qaeda. “Oggi, anche se i combattimenti non sono cessati – sottolinea l’ambasciatore – i terroristi non controllano più nessun territorio. A Ramadi (la capitale della provincia dell’Anbar, una delle zone più turbolente dell’Iraq, nda) si vedono i soldati americani che vanno liberamente al mercato e socializzano con le famiglie locali”. E ancora: “Noi iracheni ci siamo presi il settarismo e l’estremismo come si prende l’influenza – aggiunge – siamo sempre stati una società pluralista, ma l’azione combinata di un certo numeri di fattori ha causato questi fenomeni. Ma il corpo del paese è sano e li ha rigettati”.
I problemi dell’Iraq sono stati peraltro aggravati dalla presenza di due scomodi vicini come Iran e Siria. “L’Iran, con il quale abbiamo combattuto una guerra durata otto anni, si sente minacciato dalla presenza americana in un paese confinante, ed è nel loro interesse che gli americani se ne vadano – ammette Sumaida’ie – ma è anche nell’interesse dell’Iran avere buoni rapporti con l’Iraq. La nostra politica è pertanto quella di rassicurare i nostri vicini che noi vogliamo buoni rapporti con tutti. Se devono litigare con gli Stati Uniti questo non ci riguarda. Non vogliamo pagare un prezzo per i problemi altrui”.
Del resto l’Iraq ha già i suoi problemi interni. Nonostante i progressi fatti in materia di sicurezza – le divisioni fra le fazioni sciite, sunnite e curde rimangono un problema politico che rende precaria la stabilità del paese. C’è anche la disputa sulla divisione delle ricchezze petrolifere fra le diverse etnie che andrà decisa nell’ottica di una divisione dell’Iraq in entità federali.
Il prossimo test per il paese, secondo Sumaida’ie, sono le prossime elezioni provinciali che si terranno a fine gennaio 2009. Nel 2005 le elezioni nazionali sono state in larga misura boicottate dalla componente sunnita della popolazione irachena con il risultato che questa è rimasta sottorappresentata nei consigli provinciali. “Ma questa volta sarà diverso” dice convinto l’ambasciatore pensando alla maggiore stabilità e sicurezza esistente nel paese. “Comunque vadano le elezioni, lo scenario sarà molto differente dai tempi di Saddam Hussein. Il grado di distruzione apportato da quel regime ha distrutto il tessuto sociale del paese ed ha provocato un grado di corruzione profondamente radicato”.
“Nonostante tutto – conclude – il paese sta facendo passi avanti. Stanno arrivando un miliardo di dollari di aiuti finanziari dagli Stati Uniti e da altri paesi. C’è una nuova divisa monetaria e abbiamo stretto accordi con