Se in Spagna aumentano i disoccupati è anche colpa dei “green jobs”
21 Luglio 2009
La Spagna e la California hanno fatto degli investimenti nelle energie rinnovabili una ragione di governo. La Spagna, il primo Paese al mondo a chiedere l’installazione del pannelli fotovoltaici sui tetti dei palazzi, prevede di soddisfare il 30 per cento del suo fabbisogno energetico con le fonti alternative entro il 2010. La stessa linea è stata promossa due anni fa durante la presidenza di turno tedesca della UE. Per il premio Nobel italiano Carlo Rubbia le rinnovabili sono “la soluzione giusta”.
Anche il presidente Obama ci crede fermamente: entro il 2012 almeno il 10 per cento del fabbisogno energetico americano dovrebbe essere soddisfatto dalle rinnovabili, creando 5 milioni di nuovi posti di lavoro. Subito dopo il suo insediamento, il presidente illustrò cosa avrebbe fatto per “sostenere” il comparto, inserendo le rinnovabili nel Reinvestment Plan per il rilancio della economia. Le start-up della Silicon Valley si stanno riconvertendo dalle web alla green economy. Il senatore democratico Al Gore, uno dei profeti dell’apocalisse climatica, ha stretto preziose partnership con i fondi di venture capital attratti dal nuovo mercato energetico.
La grande crisi economica globale è stato il primo stop alle magnifiche sorti e progressive delle rinnovabili. Le banche hanno stretto il credito, proprio in un settore che richiede alti investimenti per sfruttare il suo alto tasso di innovabilità: molti dei piani previsti per il 2009 sono rimasti nel cassetto o rimandati all’anno prossimo.
I report più ottimistici parlavano di almeno 200.000 nuovi posti di lavoro da creare nel comparto delle fonti di energia alternative a medio e breve termine in America. Il governatore repubblicano della California, Arnold Schwarzenegger, aveva previsto che nel 2010 il 20 per cento del fabbisogno energetico del suo Stato sarebbe stato coperto da forme di energia alternative. Ma oggi la California si trova a fare i conti con una disoccupazione in forte crescita: l’11,5 per cento secondo i dati forniti lo scorso maggio, circa due punti percentuali in più rispetto al tasso di disoccupazione nazionale. Il più alto tasso registrato nel più ricco stato degli Usa da quando sono iniziati questo tipo di rilevamenti.
La Spagna, attualmente, è il Paese europeo con il tasso di disoccupazione più alto dell’Unione Europea. Non è mai andata così male da quando nel Paese è stata restaurata la democrazia, all’incirca 30 anni fa. Può esserci una connessione tra l’aumento della disoccupazione in un periodo di crisi come questa e i massicci investimenti fatti negli anni precedenti nel settore delle rinnovabili? Secondo Gabriel Calzada, che insegna economia alla Università Juan Carlos di Madrid, la risposta è sì.
In uno studio pubblicato di recente dal suo istituto di ricerca, Calzada sciorina una serie di dati e tabelle che fanno riflettere. Ogni “tuta verde” creata nel mercato del lavoro spagnolo avrebbe distrutto in media 2,2 posti di lavoro in altri settori dell’economia. Solo 1 lavoratore su 10 ha trovato un posto di lavoro permanente nei “green jobs”. In totale, le rinnovabili avrebbero sottratto circa 110.000 posti di lavoro alla economia iberica.
Sia Zapatero che i suoi predecessori hanno sostenuto generosamente con la spesa pubblica la “rivoluzione verde”, spendendo milioni di euro in sussidi per il solare, l’eolico e così via. Tutto questo ha generato fenomeni di “eco-corruzione” nel sistema dei sussidi pubblici, o per esempio nella vendita dei lotti per la costruzione delle wind farms. Se Obama seguisse la stessa “agenda verde” negli Usa, calcola Calzada, l’America potrebbe aspettarsi una perdita di 9 posti lavoro su ogni 4 creati. Sarebbe un totale fallimento della politica energetica e ambientale del nuovo presidente.
Le tesi di Calzada sono contestabilissime. “In un periodo di credit crunch – sostiene Francesco Meneguzzo, ricercatore al CNR ed esperto di questioni climatiche – è ovvio che anche un settore trainante come quello delle rinnovabili paghi pegno: in precedenza si è assunto molto, ora si soffre, ma la direzione per rilanciare l’economia è sempre quella delle rinnovabili”.
Secondo il Wall Street Journal, Calzada nel suo studio non spiega quali sono esattamente i posti di lavoro distrutti in Spagna. Si limita a dire che ogni posto di lavoro creato nell’industria verde è costato al Paese europeo una media di 571 euro, a fronte dei 259 investiti per ogni singolo lavoratore nel resto dell’economia. Quindi perché parlare di posti che sarebbero andati persi? “E’ semplicemente una questione di opportunità di costi”, commenta lapidario il quotidiano americano.
Altri hanno messo in discussione l’oggettività scientifica dello studioso, descrivendolo come un “libertario” spalleggiato dalla multinazionale petrolifera Exxon Mobil. Ma la questione non è se Calzada sia finanziato da questa o quella organizzazione ostile alla rivoluzione verde. Quello che dobbiamo chiederci è se le sue ricerche siano fondate oppure no. Ed è un fatto che Spagna e California hanno scommesso sulle rinnovabili. Come è un fatto che scontano tassi di disoccupazione più alti del previsto.