Se Israele attacca, l’Iran scatenerà tutti i suoi alleati contro lo Stato ebraico

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se Israele attacca, l’Iran scatenerà tutti i suoi alleati contro lo Stato ebraico

01 Giugno 2009

Attaccare l’Iran per azzerarne il programma nucleare. Questa la mission (quasi) impossibile per la macchina bellica israeliana. Certo, Israele potrebbe risolvere la pratica con un attacco nucleare contro i vari Natanz, Busher ecc., ma le conseguenze ambientali sarebbero devastanti, per tutta la regione, con ricadute che si farebbero sentire per anni se non decenni. Ecco allora che l’opzione più credibile resta quella di un attacco aereo convenzionale con la Hel Haavir, la leggendaria Aeronautica israeliana, ancora una volta indiscussa protagonista. In Israele ci si sta preparando a questo scenario ormai da anni, anche perché non si tratterebbe di una semplice ripetizione dell’operazione "Opera" che nel 1981 portò alla distruzione del reattore nucleare iracheno di Osirak. Gli obiettivi sono molti di più. Sono ben protetti e per di più dispersi su un territorio molto vasto.

Quello più difficile è lo stabilimento per l’arricchimento dell’uranio di Natanz. Se, infatti, per distruggere l’impianto pilota quattro bombe guidate risulterebbero più che sufficienti (due degli edifici sono praticamente uniti, tanto da poter essere distrutti da un solo ordigno), per provocare danni significativi alle installazioni sotterranee gli aerei israeliani dovrebbero colpire almeno due volte gli stessi punti con le potentissime bombe bunker buster da 5000 libbre GBU-28. Un’operazione estremamente complicata che, oltre a richiedere mesi e mesi di addestramento agli stessi piloti, comporterebbe un ulteriore problema. Nell’Aeronautica israeliana, infatti, i soli aerei in grado di trasportare le GBU-28 sono i 25 cacciabombardieri F-15 I Ra’am. Ora, considerato che un F-15 I può trasportare una sola GBU-28 – l’aereo ne potrebbe portare anche due ma al prezzo di una pesante riduzione di autonomia  – pressoché tutta la forza di Ra’am andrebbe utilizzata nel bombardamento del solo sito di Natanz. Soprattutto se si pensa al fatto che Israele non potrebbe permettersi un’azione troppo prolungata nel tempo comprendente più ondate d’attacco.  Quello contro Natanz sarebbe pertanto il pacchetto di attacco più pesante. Agli F-15 I bisogna infatti aggiungere gli aerei di scorta e gli aerei per la soppressione delle difese aeree nemiche. In totale, contro Natanz, potrebbero essere necessari almeno una quarantina di aerei.

Molto più semplice, invece, l’attacco contro Arak, Busher e Isfahan, obiettivi non interratti e, come si dice in gergo militare, molto più “morbidi”. Per distruggerli dovrebbero bastare le bombe GBU-27 e le GBU-10 da 2000 libbre a guida laser, entrambe trasportabili dagli F-16 I, l’avanzatissima versione israeliana dell’F-16 Block 50/52 americano. L’Hel Haavir ha in servizio almeno 100 Soufa e questo permetterebbe di distribuire al meglio i pacchetti d’attacco per ogni obiettivo. In media per la distruzione di ciascuno di questi obiettivi dovrebbero essere sufficienti tra i cinque e i dieci F-16 I. In totale si può allora ipotizzare che un attacco ai siti nucleari iraniani richieda l’approntamento di una forza d’attacco di un centinaio di aerei. Forse addirittura qualcuno in più. Anche perché, con tutta probabilità, agli aerei israeliani verrebbe affidato anche il compito di neutralizzare le postazioni di lancio dei missili Shahab-3, difficili da trovare ed eliminare perché mobili. Per portare a termine con successo un’operazione così complessa, Israele dovrebbe dar fondo a tutte le sue risorse. E per di più senza che si verifichino intoppi e assumendo un livello di efficienza operativa di aerei e ordigni massimo. Forse troppo anche per una pur organizzatissima macchina da guerra come quella israeliana.

Per questo non è azzardato ipotizzare che il reattore di Busher, situato sulla costa del Golfo Persico, possa essere attaccato dai sottomarini Dolphin della Marina. I battelli avrebbero il vantaggio di potersi avvicinarsi al bersaglio furtivamente e lanciare indisturbati i missili da crociera Harpoon o i ben più temibili Popeye Turbo dotati di testata ad alta penetrazione. In questo modo si potrebbe sgravare l’Aeronautica da una parte del carico di tutta la missione e raggiungere lo stesso l’obiettivo.

Resta il problema delle distanze e delle rotte. Israele non ha bombardieri e tutti i suoi aerei, compresi gli F-15 I, dovrebbero essere riforniti in volo. Un’operazione molto pericolosa che dovrebbe essere condotta in spazi aerei ostili, o comunque non amici, e che potrebbe comportare l’intercettazione delle aerocisterne. Inoltre, l’Hel Aavir dispone solo di una decina di aerei di questo tipo e li dovrebbe pertanto impiegare tutti nell’attacco. Sempre che non si registrino problemi  o che non sia necessario attaccare di nuovo qualche obiettivo. Per quanto riguarda le rotte, nel rapporto per il CSIS, Cordesman e Toukan ipotizzano tre alternative posto che nessun paese vicino concederebbe agli aerei israeliani i diritti di sorvolo e che l’operazione dovrebbe di conseguenza essere condotta senza preavviso e nella massima segretezza. Nella migliore tradizione israeliana.

Una rotta da nord, una centrale e una da sud. La rotta da nord prevede che gli aerei israeliani penetrino dal Mediterraneo lungo i confini tra Siria e Turchia, tenendosi il più possibile in territorio siriano, per poi piombare in Iran da nord. Probabilmente si tratta dell’ipotesi meno rischiosa politicamente e più “semplice” operativamente. Gli israeliani conoscono benissimo la difesa aerea siriana e storicamente questa non ha mai capito nulla degli aerei con la Stella di David. Nel settembre 2007, quando un misterioso raid ha mandato in fumo le aspirazioni nucleari del giovane Assad, i vecchi radar ex-sovietici di Damasco per l’ennesima volta hanno visto solo…mosche. Soltanto dopo si è saputo che i diabolici Gulfstream 550, appositamente modificati dagli israeliani per le operazioni di guerra elettronica, li avevano messi “ko” accecandoli con disturbi elettromagnetici potentissimi ed immettendo nei loro dispostivi false tracce per portarli fuori strada. Un’operazione da manuale – del resto gli israeliani sono sempre stati i più avanti in questo campo e, per anni, grazie a tecnologie all’avanguardia, si sono fatti beffe dei radar dei paesi arabi – che potrebbe essere ancora una volta ripetuta con altrettanto successo.

Le altre due rotte sono più complicate, soprattutto politicamente. La rotta centrale, che sarebbe la più breve, prevede la violazione dello spazio aereo giordano e iracheno. Ma seguirla potrebbe compromettere i rapporti con Amman, l’unico vicino arabo, assieme all’Egitto, con cui Israele ha un trattato di pace, ed esporre a pericolosi rischi il già fragile Iraq. Lo stesso vale per la rotta sud. Gli aerei israeliani in questo caso dovrebbero penetrare dal Mar Rosso in Arabia Saudita e poi ancora una volta in Iraq, o in Kuwait, e da lì entrare in Iran. Beninteso, le ciniche monarchie del Golfo non vedono l’ora di liberarsi della Bomba di Teheran, ma preferirebbero comunque che a fare il lavoro sporco fossero le portaerei e i missili cruise americani piuttosto che aerei israeliani in volo nei propri cieli.

L’operazione è allora difficile, ma Israele, alle strette, potrebbe tentare lo stesso. Nel qual caso come reagirebbe l’Iran? Le opzioni sono molte. Teheran potrebbe giocare la carta della strategia indiretta bloccando il traffico mercantile attraverso lo stretto di Hormutz, scatenando le milizie sciite in Iraq o le unità Al Qods dei Pasdaran. Ma potrebbe colpire direttamente anche lo stesso territorio dello Stato Ebraico lanciando un pugno di Shahab-3 visto che difficilmente gli aerei israeliani potrebbero distruggerli tutti. Attualmente, Teheran ha nel proprio arsenale una trentina di Shahab-3, ma non è chiaro se i tecnici iraniani abbiano raggiunto la capacità per caricare sulle loro testate agenti chimici o battereologici. Comunque, anche se armati con semplici testate convenzionali, gli Shahab potrebbero provocare lo stesso danni di una certa entità all’infrastruttura israeliana, soprattutto civile.

Qualora veramente l’Iran dovesse riuscire a lanciarli, l’unico mezzo efficace per contrastarli sarebbe il sistema antimissile Arrow-2. Il sistema è collegato con l’early warning satellitare americano ed è già stato sperimentato con successo contro bersagli simulanti un missile Shahab-3. Di recente, le sue capacità sono state ulteriormente rafforzate grazie allo schieramento nella base di Nevatim, nel Negev, di un potentissimo radar americano in banda X a lunga portata dal quale è in grado di ricevere le tracce.

Rispetto ad un sistema come il Patriot, l’Arrow ha il vantaggio di poter intercettare i missili nella parte alta della stratosfera (la stratosfera inizia intorno ai 12 km di distanza dalla Terra, 8 km ai poli e 20 km all’equatore, e termina ad un’altitudine di circa 50 km) e ciò offrirebbe il vantaggio non trascurabile di attutire sensibilmente eventuali fenomeni di ricaduta. Israele dispone attualmente di due batterie, una nella base di Palmachin, tra Ashdod e Tel Aviv, e l’altra ad Ein Shemera, nei pressi di Hadera, a sud di Haifa.  Queste potrebbero essere sufficienti per fronteggiare un attacco condotto con un numero limitato di missili balistici.

Lo scenario peggiore immaginato da tutti gli analisti israeliani è però una reazione contro il territorio ebraico proveniente, oltre che dall’Iran, anche da Siria, Gaza e Libano qualora Teheran, come è probabile, riesca a trascinare nella mischia tutti i suoi “proxi”, da Hezbollah a Hamas. In questo caso le difese israeliane potrebbero essere saturate da un fitto lancio di missili e razzi – come già dimostrato dalla guerra contro Hezbollah nel 2006 e, in parte, dalla Guerra di Gaza, proveniente da più direzioni – con conseguenze più gravi sull’integrità dei propri centri abitati e di ogni eventuale obiettivo sensibile.

Ma il beneficio ottenibile togliendo di mezzo la minaccia nucleare iraniana, sarebbe comunque superiore ai costi di un’eventuale reazione di Teheran. Anche se questa dovesse prendere la forma dello scenario peggiore.