Se la Cina approfitta del Covid per imbavagliare Hong Kong

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Se la Cina approfitta del Covid per imbavagliare Hong Kong

Se la Cina approfitta del Covid per imbavagliare Hong Kong

06 Giugno 2020

Ieri è stata una giornata da ricordare, di quelle che contribuiranno a segnare la storia di Hong Kong, o meglio, che contribuiranno a cancellarne gli ultimi 30 anni di storia.

Il primo passo era stato compiuto qualche giorno fa, quando l’Assemblea del popolo cinese, sostituendosi al Parlamento locale, aveva approvato una legge sulla sicurezza di HK. Una sorta di lasciapassare per installare “sedi” della polizia del regime nella regione autonoma e per permettere agli uomini delle forze dell’ordine di Pechino di operare ed intervenire, appunto per “questioni di sicurezza”. L’interpretazione e i confini del concetto di sicurezza, si sa, in contesti autoritari e illiberali come quello cinese, potrebbero facilmente espandersi fino a invadere ambiti quali le opinioni, il credo politico, la libertà di parola e di pensiero.

Ieri, dopo solo sette giorni, un altro duro colpo contro l’autonomia di Hong Kong è stato sferrato. Questa volta l’assemblea legislativa da cui è stato approvato non è quella di Pechino, bensì quella dello stesso distretto autonomo, che ha posto in vigore una legge sull’inno nazionale cinese secondo la quale saranno comminate multe fino a 50 mila dollari di Hong Kong (5.757 euro) e pene fino a tre anni di carcere per chiunque si dimostri “irrispettoso” verso l’inno nazionale cinese, o peggio lo “insulti”. In base al testo approvato oggi, “tutti gli individui e le organizzazioni” devono “suonare e cantare” la Marcia dei volontari, l’inno cinese, “nelle occasioni appropriate” e tutti gli studenti delle scuole primarie e secondarie dovranno impararlo a scuola.

Tutto ciò è avvenuto, con un tempismo così preciso da risultare preoccupante, proprio nel giorno del trentunesimo anniversario della strage di Piazza Tienammen, un massacro il cui bilancio resta oscuro, la cui commemorazione nell’ex colonia britannica quest’anno è stata bandita per la prima volta dal 1990. Ufficialmente il divieto è stato motivato dalle regole di distanziamento sociale imposte dal Covid-19, ma appare molto più verosimile che si sia approfittato del pericolo pandemico per tentare di mettere la sordina, dopo un anno di scontri e violenze, ai movimenti di protesta di Hong Kong.

Nonostante le limitazioni imposte dal governo, un centinaio di attivisti hanno comunque celebrato pacificamente l’anniversario di 4 giugno 1989 e commemorato le vittime. Le tensioni si sono accese solo in serata, non all’interno di Victoria Park, bensì a Kowloon, dove alcuni manifestanti sono stati colpiti da cartucce urticanti lanciate dalla Polizia e arrestanti con l’accusa di aver occupato e bloccato alcune strade.

Assistiamo quindi all’ultimo atto, in ordine temporale, di una serie di coercizioni volte a soffocare ogni forma di dissenso nei confronti della “Madrepatria Cina” che segnerà un nuovo passo avanti nell’inasprirsi del braccio di ferro tra Pechino e Washington. Una prova di forza che ormai si combatte anche nei cieli: a partire dal 16 giugno, infatti, gli Stati Uniti hanno annunciato il blocco dei voli, in ingresso e in uscita, di quattro compagnie aeree cinesi. È la risposta americana al veto che ancora pesa sulla United Airlines e sulla Delta Air Lines, i cui voli per la Cina sono fermi da settimane, in attesa del via libera di Pechino.

In questo nuovo scontro bipolare il Premier britannico Boris Johnson ha dato una lezione al mondo intero provvedendo nel giro di poche ore ad ampliare la flessibilità dei termini di concessione del British National Overseas Passport, così da permettere l’accesso a molti cittadini di Hong Kong. Da questa iniziativa il leader conservatore si guadagna non solo il vessillo di difensore dei diritti umani e dell’identità liberal-democratica, ma anche la possibilità di attingere a un flusso migratorio giovane, altamente istruito e produttivo, come lo è la media dei residenti nell’ex colonia, dal quale il Regno Unito potrebbe beneficiare sia in termini economici, che sociali e demografici.