Se la Consulta cancella la madre (e non solo con l’utero in affitto)

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se la Consulta cancella la madre (e non solo con l’utero in affitto)

09 Marzo 2021

UNO: La madre può non esserci, e quando c’è non conta.

DUE: E’ invece prevalente l’interesse del bambino a restare con chi ha condiviso il “progetto genitoriale” che lo ha fatto nascere: una coppia comunque formata, che ha mostrato l’intenzione di avere un figlio, lo ha fatto venire al mondo con tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA) e poi, una volta nato, se ne è preso cura.

TRE: Per questo è urgente che il Parlamento approvi una legge a tutela dei bambini, che li riconosca a tutti gli effetti figli di coppie di persone dello stesso sesso, anche quando venuti al mondo con procedure considerate reati nello Stato in cui vivono, come la maternità surrogata in Italia.

QUATTRO: “in via esemplificativa”, la Consulta suggerisce la “introduzione di una nuova tipologia di adozione, che attribuisca, con una procedura tempestiva ed efficace, la pienezza dei diritti connessi alla filiazione”. In altre parole una corsia adottiva ad hoc e con una tempistica preferenziale per garantire i bambini nati da tecniche di fecondazione assistita (compreso utero in affitto) con coppie di persone dello stesso sesso.

In quattro punti il fil rouge delle due sentenze della Corte Costituzionale sulla genitorialità di coppie omosessuali: due vicende molto diverse fra loro che però vengono affrontate con gli stessi criteri.

La sentenza n.32 riguarda una coppia di donne che ha avuto accesso alla PMA in Spagna, dove però una sola delle due ha contribuito biologicamente – cioè c’è solo una madre biologica, sia genetica che gestazionale – mentre il seme è di un donatore anonimo. Dopo alcuni anni dalla nascita di due gemelline, la coppia va in crisi e si separa. La “madre intenzionale” reclama il diritto di continuare a occuparsi delle due bambine, anche se non c’è legge che la riconosca genitore in Italia. Non può neppure ricorrere alla loro “adozione in casi particolari”, perché la legge prevede che in questi casi il genitore biologico sia d’accordo, mentre per questa situazione la madre biologica delle bambine si oppone. La Corte Costituzionale vede “un vuoto di tutela” delle due bambine, “destinate” a vivere in “rapporto con un solo genitore”, anziché anche con chi “ha costruito il progetto procreativo”.

La sentenza n.33 riguarda invece due uomini di cittadinanza italiana che in Canada si sono sposati e sono stati riconosciuti genitori di un bambino nato da utero in affitto: una “donatrice anonima” ha fornito l’ovocita, una madre surrogata ha portato avanti la gravidanza e uno dei due uomini ha dato il proprio seme. I due sono riconosciuti genitori in Canada ma non in Italia, e da qui il contenzioso, per giudicare il quale la Consulta segue gli stessi criteri applicati per la sentenza di cui sopra, rafforzandoli, se possibile: la maternità surrogata è e resta reato ma secondo la Consulta “non v’è dubbio che l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia”.

 Non si tratta di riconoscere il diritto alla genitorialità ma l’interesse del minore, quindi, il quale minore in questo caso in Italia è riconosciuto come figlio del padre biologico.

Va ricordato che la stessa Consulta non ha riconosciuto alla madre surrogata la possibilità di intervenire nel contenzioso per dire la sua (che nel caso era a favore dei “due padri”), perché la legge non le riconosce di essere “titolare di un interesse qualificato” nei confronti del minore.

E’ evidente che un bambino non può essere discriminato per il modo con cui è venuto al mondo. Ma le conseguenze delle due sentenze sono immediate, ed evidenti. Le principali:

UNO. Se quel che conta è prendersi cura del bambino, e deve pesare la durata di quel rapporto consolidato a prescindere dalle modalità del concepimento: vanno riconosciute tutte le situazioni di fatto, comprese quelle dovute ad esempio a cessione di neonati dietro pagamento? Magari limitata ad alcune situazioni estreme, come quelle di tanti genitori in certe regioni particolarmente povere nel mondo che cedono i propri figli a coppie benestanti per garantire loro un futuro migliore?

DUE. Una “nuova tipologia di adozione con procedura tempestiva ed efficace” per i figli da utero in affitto significherebbe che per questi casi si ha una corsia preferenziale rispetto a chi ricorre alle normali adozioni previste dalla legge?

TRE. Se quel che conta è il “progetto genitoriale”, cioè un contratto fra chi ha intenzione di mettere al mondo un figlio e prendersene la responsabilità, per quale motivo quel contratto deve limitarsi a due persone? Che i genitori siano due deriva dal modello antropologico naturale, dove un figlio è tale di chi lo genera fisicamente, cioè un uomo e una donna. Va sottolineato che anche nell’adozione questo modello è rispettato: si prende atto che chi ha generato il bambino non se ne può più prendere cura, e si cercano un padre e una madre adeguati a sostituire quelli naturali. Nell’adozione non c’è legame genetico fra genitori e figli, ma non si nega il legame con i genitori biologici, tanto che gli adottati maggiorenni hanno il diritto di conoscerli, se è possibile farlo. Ma se è un accordo fra persone a diventare prevalente nello stabilire chi sono i genitori, ovviamente non può contare né il loro sesso né il loro numero: il massimo interesse del minore può benissimo includere anche un numero variabile di genitori, in quest’ottica: perché no?

QUATTRO. D’altra parte, se il modello non è più la genitorialità – cioè padre e madre – ma la bi-genitorialità, cioè il fatto che i genitori siano due persone equivalenti fra loro, allora non conta chi siano, ma solo che siano in due, e il problema diventa cancellare l’unico genitore platealmente riconoscibile come tale (anche nel caso della sentenza delle due donne), l’unica figura che può portare in grembo nove mesi il bambino e partorirlo: la madre.