Se la crisi morde il made in Italy è davvero il momento di agire

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Se la crisi morde il made in Italy è davvero il momento di agire

13 Gennaio 2009

La crisi ha cominciato da qualche mese a far sentire i suoi effetti, ma le conseguenze reali si stanno manifestando a partire da adesso. Tutte le teorie avanzate fino ad ora su come affrontarla, dovranno trasformarsi in azioni.

C’è forte preoccupazione, come sempre quando il nostro orizzonte cambia e ci costringe a correggere previsioni e progetti, ma ad essa deve fare da contrappeso altrettanta concentrazione e lucidità nel valutare la situazione quale realmente è, perché le reazioni e le risposte sono determinanti: non si può rischiare che prevalga il pessimismo e la conseguente resa.

In queste ore stiamo assistendo al triste epilogo della storia di Iris Ceramica, una storia che in qualche modo riassume quella di buona parte del manifatturiero italiano: tradizione, competenza, creatività, qualità, sono i caratteri distintivi del nostro sistema produttivo, insieme ad una rete di relazioni che hanno saputo intrecciare indissolubilmente impresa, società e territorio.

La ricchezza del nostro made in italy è in questo patrimonio fatto di tangibile e intangibile, che da qualche tempo il capitalismo selvaggio praticato dalla Cina sta gravemente minacciando. Ora subentra anche la crisi mondiale a rendere tutto ancora più difficile, accomunando ogni impresa – sia essa più o meno virtuosa – in qualsiasi settore. Questo però non significa che tutto sia compromesso.

La scelta di Romano Minozzi di liquidare il suo “gioiello” , deve far riflettere sulla destabilizzazione prodotta da una concorrenza senza regole, ma anche sul fattore psicologico prodotto dalla difficilissima congiuntura che stiamo attraversando e che, a mio avviso, ha avuto un’incidenza prevalente sulla decisione.

Il percorso di Iris, prima della resa, rivela l’adozione di strategie giuste per far fronte alla concorrenza globale, che non sono state però sufficienti a tenere botta alla crisi mondiale. Il crollo di vendite e fatturato prossimi al 50%, nonostante gli investimenti e l’attuazione di un buon piano di riorganizzazione, è senza dubbio un buon motivo per mettere sul piatto delle ipotesi anche una liquidazione dell’attività, ma non in un contesto del tutto particolare come quello attuale.

Nelle pieghe di questa conclusione, sicuramente molto sofferta, sembra di leggere soprattutto una sensazione di irreversibilità della situazione economica globale. Non c’è solo il distretto della ceramica di Sassuolo a subire gli effetti della crisi, ci sono tante altre realtà, emblema nel mondo del nostro tessuto economico ed imprenditoriale.

E’ vero, siamo in un tunnel, ma ci siamo tutti, e possiamo uscirne.

La sfida si vince con la fiducia. Proviamo a ragionare su possibili soluzioni partendo da un’analisi della situazione al netto di questa congiuntura che, così difficile e così diffusa, può avere il vantaggio di aiutare governi, istituzioni e imprese a compiere scelte e modifiche strutturali importanti, aprendo un nuovo corso dell’economica e della finanza. Le realtà più consolidate sono tra le principali protagoniste della rinascita, perché anche in sofferenza, possono ridimensionarsi, sacrificare risultati, contando anche su misure e strumenti di sostegno eccezionali che il nostro Governo sta varando.

Decidendo di dire basta, invece, si accetta di non agire e di disperdere un patrimonio di esperienza e competenza difficilmente riproducibile, innescando il germe della paura e della sfiducia in un tessuto che ha potenzialità e risorse per rigenerarsi.

Tra tutte le scelte difficili, quella di chiamarsi fuori è la più facile, ma è una sconfitta che non lascia altre possibilità. 

* Francesco Casoli è un senatore  (PdL) e imprenditore italiano