Ho sempre avuto il rammarico di non conoscere la lingua tedesca. Avrei potuto così assaporare meglio gran parte della filosofia moderna e certi scrittori che soprattutto nelle notti d’estate si risvegliano e chiedono conto della tua vita. Così è successo qualche sera fa, quando il vento ha schiaffeggiato le sartie degli schooner ormeggiati e dall’abisso dei ricordi sono riemersi – come navi fantasma – libri letti nella lunga stagione dell’immaturità. Dallo scaffale più impervio, picco di una libreria sconnessa, è emerso come uno spuntone di roccia Karl Kraus, “Detti e Contraddetti”, raccolta di massime, aforismi e pezzi in prosa. Una miniera disseminata di grisù.
Leggo: “Si va avanti. E’ l’unica cosa che va avanti” e mi chiedo cosa proceda in linea retta o a zigzag nel mio lontano paese. Verrebbe da dire: “Niente”. Ci penso meglio e m’accorgo che non bisogna disperare perché una volta toccato il fondo arriva il tempo di scavare.
Poi leggo i giornali e mi rendo conto che perfino nella mediocrità può esserci un barlume di ragione. Prendete uno come Roberto Maroni, il ministro dell’Interno. Suonava da ragazzo con i “Celoduro”, orecchia la musica (non so se legga il pentagramma), è un avvocato come troppi, non ha il tratto “padano”, è il più “romano” dei ministri capitanati da Umberto Bossi, è la sagoma leghista più eccentrica rispetto al modello alpino. Destinato così lombrosianamente all’insuccesso, Maroni svela un po’ di coraggio in un governo che in fondo non è una testuggine di cuor di leone. Se fosse viva, la mia amica Oriana Fallaci scriverebbe una lettera per difenderlo, scartavetrerebbe un urlo sulla carta per appoggiare la sua decisione di vietare la preghiera islamica (di massa) per le strade di Milano. Mi pare una decisione saggia. Ve lo immaginate il parroco che comincia a dare la comunione a migliaia di fedeli per le vie della città ambrosiana? O il battesimo dei bambini nei Navigli?
Uno scherzo del destino trasforma quella deiezione urbanistica che si chiama Viale Jenner in uno degli epicentri dello scontro di civiltà (oh dear, l’ho scritto…) e la Chiesa cattolica invece di riconoscere che il problema esiste fa finta di frugare nei testi sacri e bolla Maroni come… fascista. Aggettivo d’ignoranza sfavillante per un’istituzione con duemila anni di storia. Le parole uscite dal senno della Curia mi sembrano un segno divino, la prova che quel folletto di Kraus aveva ragione quando scriveva che “il diavolo è un ottimista se crede di poter migliorare gli uomini”.
Non oso pensare che dalle parti della Curia abbiano letto la profonda opera di Samuel Huntington, né ho l’ardire di immaginare che la Storia abbia insegnato qualcosa ai molti preti, vescovi e cardinali che la Chiesa governano a dispetto di Benedetto XVI, ma se un’istituzione perde il contatto con la realtà e confonde la libertà con il caos e l’anarchia, allora si pone il problema della cultura della Chiesa, del suo radicamento, della sua percezione del mondo.
Pochi hanno il coraggio di dirlo: le chiese sono vuote. Questa desolazione non è il segno della secolarizzazione come si dice da troppo tempo per trovare una scusa alla propria incapacità. C’è un tema che la Chiesa farebbe bene a mettere in agenda: la qualità della predicazione e della missione dei suoi discepoli. I primi a dover credere sono i preti e le nostre bellissime chiese vuote sono un lamento e un formidabile atto d’accusa. La Chiesa ha rinunciato a combattere, ha dimenticato il grido del profeta Gioele: “Proclamate questo fra le genti: chiamate alla guerra santa, incitate i prodi, vengano, salgano tutti i guerrieri. Con le vostre zappe fatevi spade e lance con le vostre falci; anche il più debole dica: io sono un guerriero!”. Gioele credeva. Con tutta la sua forza. Predicava nel deserto, povero tra i poveri. La Chiesa oggi è la via della pace e del martirio. Sia almeno fedele a questo e non si riduca all’amministrazione dell’obolo e allo smarrimento della parola.