Se la politica non accelera sulle riforme a vincere sarà l’antipolitica

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Se la politica non accelera sulle riforme a vincere sarà l’antipolitica

19 Marzo 2012

Tutti d’accordo sulla necessità di chiudere la legislatura nel segno delle riforme istituzionali. Tutti d’accordo sul fatto che il tempo del governo tecnico è il terreno ‘neutro’ e dunque auspicabilmente fertile, sul quale i partiti possono trovare convergenze anteponendo gli interessi del Paese a quelli di parte. Sono passati quattro mesi, è stato avviato un lavoro consistente su regolamenti parlamentari, riforma costituzionale e a seguire nuovo sistema elettorale. Tavoli bilaterali, trilaterali, riunioni e contatti serrati per settimane e poi? A che punto siamo?

Riprendere in mano e accelerare sul dossier riforme istituzionali è quanto mai urgente. Per due motivi. Il primo: portare avanti e possibilmente a termine, quanto è stato messo in cantiere per modernizzare l’impianto dello Stato, ridurre il numero dei parlamentari, superare il bicameralismo perfetto, consolidare i poteri del premier pur nel rispetto delle prerogative del parlamento, velocizzare l’iter dei provvedimenti nelle due Camere. Infine, road map alla mano, mettere mano al sistema elettorale. Il secondo: ridare alla politica il ruolo centrale che le spetta in un sistema democratico evitando che, alla fine, della politica al tempo di Monti la gente ricordi solo il caso Lusi, le inchieste sulla Lombardia e quelle su Bari. Non può e non deve finire così. Perché se finisse così, avrebbe vinto l’antipolitica, perché rischieremmo un deficit di democrazia.

La tabella di marcia ha date e tempi, tuttavia l’impressione è che l’enfasi e l’impegno dimostrato dai partiti di maggioranza fin qui (ciascuno dei quali disposto, non senza difficoltà, a fare passi indietro per compiere tutti insieme passi avanti) siano un po’ finiti in secondo piano, o quanto meno abbiano subito un rallentamento. Certo, c’è da considerare che in questi giorni il dibattito e il confronto politico sono concentrati sulla riforma del mercato del lavoro che tra stop and go, oggi dovrebbe arrivare in dirittura con l’ultimo tavolo tra governo e parti sociali, poi la decisione finale di Monti.

C’è da aggiungere poi, il nuovo tormentone che piace tanto a Bersani e Casini – ovvero la Rai – che vorrebbero infilare nell’agenda di un governo chiamato a Palazzo Chigi principalmente per fare riforme strutturali in campo economico e portare il paese fuori dalla crisi. Dunque una politicizzazione, forte, su un tema che non è tra le priorità da affrontare in questo momento. E l’ostinazione di B&C (per motivi diversi) ha portato all’acuirsi dello scontro politico, col Pdl contrario ad aprire, proprio in questo momento, il capitolo nomine Rai e governance di Viale Mazzini. Tutto ciò, inevitabilmente, finisce per togliere spazio e strada al cammino che seppure faticosamente, era stato fatto fin qui per mettere a punto le bozze delle riforme istituzionali e incardinarle nei due rami del parlamento.

Dunque, a che punto siamo? La riforma dei regolamenti parlamentari, che detta così può sembrare una questione astrusa, distante dal quotidiano, in realtà strategica dal momento che interviene sulle regole, sull’iter legislativo, e contiene in sé passaggi innovativi quale quello, ad esempio, del divieto di ‘transumanza’ da un gruppo all’altro senza tanti complimenti, è già incardinata al Senato e da pochi giorni anche alla Camera. Con ogni probabilità la prossima settimana a Palazzo Madama verrà presentato il progetto di riforma costituzionale che al suo interno (solo per citarne uno) contiene anche il punto sulla riduzione del numero dei parlamentari. Subito dopo la legge elettorale: nella bozza prodotta dopo i tavoli tra le forze politiche, ci sono indicazioni che contemplano aspetti del modello tedesco e di quello spagnolo, ma che dovranno essere discussi e quindi votati in Aula. Tutti d’accordo sul fatto che devono essere i cittadini a scegliere i propri rappresentanti e sulla necessità che prima del voto l’elettore sappia chiaramente quale coalizione, con che programma e con quale premier (nome e cognome)  si presenta alle urne. Manca l’ultimo miglio, ma va percorso.

La cornice delle riforme che realisticamente potrebbero essere fatte entro la legislatura riguarda anzitutto il superamento del bicameralismo perfetto dando la possibilità “ad una Camera di votare una legge e alla seconda di ‘richiamarla’ in caso di errore”, spiega Gaetano Quagliariello che alle riforme istituzionali ci sta lavorando da mesi. Suo il testo in discussione a Palazzo Madama firmato insieme al senatore Zanda (Pd).  In agenda c’è anche il conferimento al premier del potere di revoca e di nomina dei ministri, con la possibilità di presentare una mozione di sfiducia. La riforma dei regolamenti parlamentari è di fatto, il primo passo concreto verso la modernizzazione dell’architettura dello Stato.

Una riforma che, come sottolinea il vicepresidente dei senatori Pdl “non ha un grosso appeal sull’opinione pubblica ma ha senz’altro un grosso impatto nel procedimento legislativo”. Nel provvedimento, infatti, è previsto che il governo possa ottenere tempi certi per la votazione dei propri provvedimenti “fissando direttamente la data del voto” dice Quagliariello che sottolinea due aspetti: il divieto per l’esecutivo di presentare maxi-emendamenti e l’obbligo di corrispondenza tra la lista elettorale con la quale ci si presenta e il gruppo parlamentare di appartenenza per evitare il solito clichè dei trasformismi di deputati e senatori. Durante la legislatura, insomma, sintetizza Quagliariello, “nessun parlamentare che uscirà dal suo gruppo per qualsiasi ragione, potrà formarne degli altri”.

Non è poco. Ma bisogna fare in fretta perché diventi vero. Anche per questo, puntare i piedi sulla Rai è un diversivo.