Se la politica vuole sopravvivere deve fare le riforme istituzionali
31 Gennaio 2012
Che questa sia la stagione giusta per le riforme come dice Gaetano Quagliariello, è l’assunto, la congiuntura ideale (e parlamentare) per portare a compimento ciò su cui per decenni si è discusso molto e agito non abbastanza: la modernizzazione dell’architettura istituzionale. Che ci siano proposte in campo è il dato oggettivo che segnala molto più di una disponibilità tra gli schieramenti che solo quattro mesi fa mai si sarebbero seduti allo stesso tavolo, complice la pregiudiziale anti-berlusconiana. Ma adesso è tempo di stringere sui fatti. E’ la prova alla quale la politica è chiamata e le ragioni stanno nel metodo e nel merito.
Una su tutte: riaffermarne il primato al tempo del governo tecnico ma pure sotto il suo ombrello, nell’unico terreno praticabile: le riforme. Dai regolamenti parlamentari, al bicameralismo, alla legge elettorale. Il metodo. Al Senato è sul tavolo di Schifani il testo firmato da Quagliariello (Pdl) e Zanda (Pd) che ridisegna le regole parlamentari secondo parametri di maggiore efficienza e celerità dell’iter legislativo e criteri finalizzati a correggere le storture: come quella, ad esempio, della transumanza di deputati e senatori da un partito all’altro nel corso della legislatura.
Tra via dell’Umiltà e Largo del Nazareno i contatti di Alfano con Bersani (e viceversa) nelle ultime settimane si sono intensificati e la strada verso la riforma della legge elettorale appare tracciata nel ragionamento su un modello ispanico-tedesco con l’obiettivo di evitare la frammentazione, garantire stabilità agli esecutivi e ai cittadini la garanzia di una rappresentanza scelta e non imposta, a cominciare dal diritto di scegliere il governo. Il tutto, come ripete Quagliariello, vicepresidente dei senatori Pdl e gran tessitore del dossier sulle riforme “salvaguardando la logica dell’alternanza”, una conquista degli ultimi quindici anni.
Il merito: Pdl e Pd sembrano aver messo da parte gli interessi di bottega e ragionare su un piano più alto, un piano di sistema. In un certo senso un passaggio obbligato. Mai come oggi, infatti, nessuno dei due partiti può sapere cosa accadrà nel 2013, chi vincerà le elezioni, con quali alleanze e in quale scenario generale. Ciò depotenzia, annulla, qualsiasi tentazione di aggiustare prima le carte per vincere poi la partita, tantomeno ragionare guardando al proprio orticello tralasciando l’intero campo nel quale la politica è chiamata a misurarsi.
Se la politica non è sospesa, certamente fa i conti con un quadro economico-finanziario internazionale che sta dettando l’agenda ai governi dell’Occidente. Da questo punto di vista il terreno delle riforme è lo spazio in cui la politica può rimettersi in pista contribuendo a imprimere un’accelerazione ormai non più rinviabile sulla modernizzazione delle istituzioni. E il fatto che Quagliariello e Zanda ragionino di regolamenti parlamentari da due anni anche grazie alla sollecitazione del presidente del Senato, arrivando solo oggi a firmare un testo di riforma insieme, indica che qualcosa sta cambiando.
Lo strumento tecnico dei regolamenti parlamentari, rappresenta l’innesto della grande riforma costituzionale e per la politica stessa l’occasione di volare alto se vorrà sopravvivere. Le novità non sono di poco conto: si rafforza il ruolo del governo in Parlamento che potrà essere certo dei tempi di approvazione dei suoi provvedimenti, senza tuttavia indebolire il ruolo dell’Assemblea che sempre di più sarà di controllo e approfondimento: si introduce una maggiore trasparenza al processo legislativo col divieto di maxiemendamenti, spesso usati per far rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta. Ancora: è previsto il diritto dell’opposizione a parlare all’esterno tramite le dirette tv e si fissano norme anti-frammentazione contro i fenomeni di trasformismo. In altre parole, un parlamentare non potrà più uscire dal partito che lo ha eletto per traslocare in un’altra formazione politica. Ci sarà, inoltre, più spazio alla società civile con la certezza che le proposte di legge di iniziativa popolare saranno esaminate dall’Assemblea.
Un lavoro certosino quello di Quagliariello e Zanda (durante il quale sono stati presi in considerazione tutti i testi delle proposte presentate a Palazzo Madama dalle forze politiche), incoraggiato dal Quirinale particolarmente attento alla materia conoscendone l’importanza. E i richiami di Napolitano alla politica rilanciati nelle ultime 48 ore affinchè lavori celermente alle riforme certificano tale attenzione.
Non è solo né può esserlo, una partita tra Pdl e Pd. Al tavolo delle riforme sta seduto pure Casini e il Terzo Polo, anche se in questa fase né Alfano né Bersani vogliono il leader centrista nel ruolo di regista. Semmai l’obiettivo è quello di depotenziarne il ‘peso’ contrattuale, specialmente sulla legge elettorale. Da tempo, infatti entrambi gli schieramenti osservano le mosse dell’Udc e soprattutto a via dell’Umiltà si guarda al congresso che Casini avrebbe calendarizzato a maggio, quando cioè ci saranno le amministrative. Non è un mistero che ai piani alti del Pdl si mantengano sospetti e riserve sulle tattiche centriste, compresa l’idea più volte ventilata con una certa sfrontatezza in ambienti Udc di raccogliere i cocci – e pure selezionandoli – di un Pdl post-Berlusconi dato quasi per decotto. Anche per questo si intensificano i contatti tra via dell’Umiltà e Largo del Nazareno ragionando sull’idea di un modello elettorale ispano-tedesco che per il momento viene riconosciuto da entrambi gli schieramenti non come un dogma, bensì come “la giusta direzione”. E come un punto di caduta preliminare al negoziato con Casini.
Per il Pdl la road map è chiara: riforma dei regolamenti parlamentari, riforma del bicameralismo perfetto e diversificazione tra le funzioni di Camera e Senato, riduzione del numero dei parlamentati, infine revisione del sistema elettorale. Perché, come ripete Quagliariello, “la legge elettorale è uno strumento che si rapporta al sistema, non è uno strumento rivoluzionario per abbattere i sistemi come si pensa in Italia”. Il Pd, però, non la pensa così e individua nella legge elettorale la priorità tra le priorità. Tatticismi dettati anche dalla difficoltà che la politica e dunque i partiti vivono durante questo “strano” governo Monti (come lo stesso premier lo ha definito) ?
Può darsi, anche se le sensazione è che si punti più alla sostanza che agli interessi di parte. Anche perché se la politica sarà in grado di intestarsi il merito delle riforme necessarie al Paese, avrà dimostrato due cose molto semplici: che in tempi di antipolitica la politica serve (eccome) e che se c’è la volontà (politica appunto) la modernizzazione dello Stato si può fare e in tempi brevi. Pure al tempo del governo dei prof.