Se l’antisemitismo colpisce anche a New York

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Se l’antisemitismo colpisce anche a New York

13 Dicembre 2007

“L’avete ucciso, avete ucciso Gesù, sporchi ebrei” è quello che si è sentito dire il giovane newyorchese Walter Adler, quando venerdì mattina, durante il suo consueto spostamento a bordo del treno “Q” della metropolitana che collega Brooklyn a Manhattan, ha risposto con un innocente “Happy Hanukkah” a chi gli aveva fatto gli auguri di Natale. A quel punto è iniziato un pestaggio che ha coinvolto anche un giovane musulmano.

Difficile da immaginare come scenario. Un via vai di gente in uno dei treni più affollati d’America, pochi secondi per sentirsi augurare “Buon Natale” da un gruppo di persone e pochi secondi per rispondere “felice Hanukkah”, in segno di rispetto reciproco e di cordialità. La lancetta più lunga dell’orologio scatta ancora qualche volta ed ecco che un tizio si scopre l’avambraccio rivelando un tatuaggio di Gesù e cominciando a insultare: “Ha detto ‘Happy Hanukkah’, è quando gli ebrei hanno ucciso Gesù…Sporchi giudei e cagne ebree”. Scatta la rissa, volano pugni e si rompono nasi. Incredibile.

Adler, uno studente modello dell’”Hunter College” di ventitre anni, è stato picchiato da un gruppo di suoi coetanei per aver augurato un Buon Hanukkà. È stato insultato da un gruppo di antisemiti in una delle città più cosmopolite ed emancipate del mondo, dove è quasi impossibile farsi un’idea dell’appartenenza religiosa di chi ti sta intorno e dove le persone sono da sempre abituate a convivere rispettandosi. Certamente uno dei luoghi in cui gli ebrei di ogni estrazione sociale e inclinazione dogmatica si trovano più al sicuro. Se l’antisemitismo si manifesta in Europa, dove esiste purtroppo una storia millenaria di persecuzioni nei confronti del popolo del libro, passi pure. Certo la profanazione di cimiteri ebraici e il pestaggio di qualche giovane non fanno piacere a nessuno. I rigurgiti nazifascisti del vecchio continente sono però considerati alla stregua di un male endemico e certe volte nemmeno guaribile.

Se però episodi simili accadono nella Grande Mela, allora si che bisogna cominciare a preoccuparsi. Walter Adler ha dichiarato alla CNN di essersi accorto immediatamente che la situazione stava degenerando in una rissa. “Lo sguardo di quel ragazzo si è fatto quasi immediatamente minaccioso”- ha spiegato il giovane ebreo americano- “un po’ come se avessi detto qualcosa di brutto nei confronti di sua madre”. A quel punto due uomini si sono staccati dal gruppo e hanno cominciato a insultare Adler la sua ragazza ed il suo amico, prendendoli anche a pugni. Adler riporta, infatti, escoriazioni sull’occhio sinistro e sul labbro oltre la rottura del naso.

Come detto, episodi del genere fanno notizia specialmente se accadono a New York.  Solo che New York è il posto dove si concentrano il peggio e il meglio del mondo e… “I feel safe in New York City”, recita una canzone di Brian Johnson & Angus Young. Visto il peggio, ci si aspetta subito il meglio, che puntualmente arriva: infatti, un ragazzo musulmano di origine indiana si mette a difendere il suo coetaneo ebreo, beccandosi anche lui qualche pugno e un paio di occhi neri. Il ragazzo si chiama Hassan Askari ed è uno studente. “E’ stato un musulmano americano a salvarci, mentre alcuni dei nostri erano sul treno e non hanno mosso un dito”, ha dichiarato Adler poco dopo.

Adler ha tirato il freno d’emergenza che ha fermato il treno all’altezza della “DeKalb Avenue station” dove la polizia ha fatto irruzione e ha fermato i sospetti – tutti tra i diciannove e i venti anni. Secondo il portavoce distrettuale Sandy Silverstein, lo stesso Askari era stato ammanettato in un primo momento, salvo poi essere rilasciato quando Adler ha fatto presente agli agenti che quel ragazzo semmai era da ringraziare.

Adesso proviamo per un attimo a non pensare a tutte queste diversità religiose. Quello che è successo venerdì mattina a Manhattan non c’entra poi tanto con la fede. C’entra invece con la stupidità e la grettezza di certa gente che purtroppo non ha avuto la fortuna di essere stata educata al rispetto del prossimo, indipendentemente dalla sua estrazione sociale e religione. Amartya Sen, direbbe che l’identità religiosa di una persona non ne determina la sua intera figura morale, ma che semmai delinea una certa specifica caratteristica del suo essere, assolutamente non determinante della personalità tutta, appunto.

Forse è presto per parlare di antisemitismo a New York, ma si stratta di segnali da cogliere prima che sia tardi