Se le donne non fanno carriera è tutta colpa degli ormoni
08 Marzo 2009
La polemica ci sarà. E ad accenderla sarà il corposo saggio di una psicologa canadese, appena tradotto in Italia da Giuliana Lupi. Certifica che uomini e donne sono diversi e che, in virtù di ciò, sono portati a scegliere mestieri e professioni differenti. Anche la fascetta editoriale, “Perché i maschi fanno carriera e le femmine dotate no?”, invita al dibattito. Ma state calmi, è solo una questione di ormoni, e non ha nulla a che spartire con condizioni sociali e maschilismo asfissiante, colpevoli – a quanto pare – di chiudere le porte del successo al gentil sesso. La causa di tutto ciò fa il nome di ossitocina. L’ormone della maternità, secreto in misura maggiore durante l’allattamento e i rapporti sessuali, fa in modo che le donne siano più disponibili verso il prossimo. Insomma, è come un’iniezione di tenerezza che provoca più disponibilità verso gli altri. “L’ossitocina secondo le ultime ricerche aiuta anche a leggere le emozioni sul volto altrui, aumenta la fiducia nel prossimo. E’ quindi un vero agente socializzante”. Incompatibile con un certo cinico rampantismo. Eccezioni a parte, s’intende.
Ecco spiegato perché le donne sarebbero portate verso attività come l’insegnamento e la medicina e in qualche modo si allontanerebbero dalla voglia di successo e di carriera. Ce lo dice Susan Pinker, psicologa canadese, tre figli, collaboratrice di diversi giornali stampati sulle rive dell’Ontario. La tesi della dottoressa è suffragata da tre anni di studio. Per arrivare a conclusioni che riapriranno il dibattito sulla parità di accesso fra uomini e donne nel mondo del lavoro e sul loro rapporto con le faccende domestiche. Secondo la Pinker, la questione non ha nulla a che fare con l’intelligenza, il rendimento scolastico o il disadattamento. Tutt’altro. Scorrendo le pagine del libro si scopre, ad esempio, che la fragilità è propria del maschio, altro che sesso forte. In classe, quelle che vanno meglio sono le femmine, mentre chi rischia di abbandonare abbecedari o studi universitari sono in misura superiore i maschi. Anche i problemi di apprendimento riguardano, statistiche alla mano, più gli ometti che le donnine in età scolare. Persino fisicamente, “da un punto di vista biologico, l’essere femmina offre semplicemente un ombrello protettivo dalla culla alla tomba. Le ragazze potrebbero essere garantite dal fatto di avere due cromosomi X, cosicché se uno è danneggiato ne hanno uno di riserva. Dal momento che molti geni collegati al cervello si trovano nel cromosoma X, la caratteristiche neurologiche ne sono particolarmente interessate”.
Quindi, sgombrato il campo dagli equivoci e da stupidaggini – tipo: gli uomini sono più intelligenti delle donne – la Pinker ci conduce per mano all’interno della sua fascinosa ma scivolosissima teoria. In cui, detto molto grossolanamente, appare che il quadretto familiare dell’uomo super impegnato nel lavoro che lascia a casa il suo angelo del focolare ad occuparsi dei figli, non è (soltanto) frutto di secolari convenzioni sociali ma ha molto a che fare con la biologia. Le casalinghe non sono sempre “sventurati bersagli della discriminazione, privati proditoriamente di un’istruzione”, ma semplicemente donne che hanno scelto la loro vocazione. E l’autrice sembra voler dire proprio questo alle donne: non scegliete professioni tanto per imitare i maschi. Il saggio della studiosa appare ben documentato e solido. E tuttavia, per la cronaca, va ricordato che Larry Summers, ex rettore di Harvard, per avere espresso idee simili a giustificazione dello scarso numero di donne che raggiungono le vette della scienza e della tecnologia, fu travolto da un’ondata di polemiche che, poverino, non poté parare se non dimettendosi dal prestigioso incarico.
Susan Pinker, Il paradosso dei sessi, Einaudi, pp. 398, 17 euro