Se l’economia Usa corre veloce, è Trump la ricetta vincente
30 Ottobre 2020
di Vito de Luca
Intanto l’economia Usa ha ripreso a correre. Corre tanto da aver recuperato terreno significativo sulla situazione pre pandemia, con un rimbalzo record del Pil nel terzo trimestre di quest’anno, tanto che potrebbe tirare la volata a Trump, nelle elezioni di martedì prossimo, contro Biden, lo sfidante democratico del presidente repubblicano. Negli ultimi tre mesi, l’economia statunitense è cresciuta a un ritmo record nel terzo trimestre – aumentando del 7,4% rispetto al trimestre precedente e ad un tasso annuo del 33,1% – recuperando circa i due terzi del terreno perso a causa del virus cinese. Anche se, è ovvio, l’economia oggi è di circa il 3,5% più bassa rispetto alla fine dello scorso anno, tenendo conto dell’inflazione e delle fluttuazioni stagionali. Un vento favorevole per Trump, tuttavia, spira anche per via dei numeri relativi agli occupati, tanto che nella settimana che si è conclusa lo scorso 24 ottobre, i lavoratori che hanno chiesta l’indennità di disoccupazione sono scesi da 751mila a 40 mila: il numero più basso da quando si è iniziata la crisi sanitaria. In più, gli analisti prevedono che per il quarto trimetre il prodotto interno lordo continuerà a salire, anche se, per tornare ai livelli del 2019, si dovrà aspettare probabilmente la fine del 2021. Il settore che si aspetta un rilancio più deciso, è ora quello dei consumi.
Infatti, i dati recenti dicono che la spesa dei consumatori è ancora al di sotto dei livelli dell’anno scorso, a causa di una spesa più debole per i servizi, come quello per la persona, i viaggi, l’intrattenimento e le consumazioni nei ristoranti. JPMorgan Chase & Co, la multinazionale americana di servizi finanziari con sede a New York, attraverso un’indagine sulle transazioni con carte di credito e debito, ha mostrato che la spesa, nei consumi, è diminuita del 5,1% rispetto al 2019, sempre per quanto riguarda la settimana che va fino al 24 ottobre. Tuttavia, altre due considerazioni andranno fatte, per quanto riguarda l’andamento del mercato del lavoro. La prima è che i mesi che ci attendono dovranno affrontare innanzitutto il freddo e per questo le aziende che si spostano all’interno durante l’inverno potrebbero dover far fronte alla percezione che si ha del virus, più o meno marcatamente, con i relativi riflessi negativi. La seconda sarà la scadenza della maggior parte dei sussidi di disoccupazione che l’amministrazione Trump ha messo in atto quest’estate per aumentare l’importo che i lavoratori ricevono per l’indennità dei senza lavoro. Quando questi sussidi si esauriranno, i consumatori potrebbero tagliare la spesa, con la conseguenza che le aziende potrebbero licenziare i lavoratori, in un circolo non virtuoso. Tuttavia, Trump, dopo aver varato, con la sua amministrazione, una riforma fiscale che ha favorito il rilancio della produzione industriale da un punto di vista strutturale, con un’immissione, nel mercato, durante la fase centrale della pandemia, di immense risorse di denaro, ha fatto sapere che l’obiettivo della sua presidenza sarà quello di un nuovo intervento per quanto riguarda gli investimenti. Trump, proprio in queste ore, ha reso noto che «si avrà un grande piano di aiuti non appena saranno terminate le elezioni». Intervistato per un podcast, il presidente ha poi detto di volere «un piano di aiuti più grande di quello di Pelosi», ha aggiunto riferendosi alla speaker della Camera dei Rappresentati, accusata da Trump di non volere un accordo prima del voto per non favorirlo nella corsa.
Le trattative tra Casa Bianca, repubblicani e democratici su un piano di stimoli per l’economia statunitense, va ricordato, sono ormai ferme, in attesa del voto di martedì prossimo. Se questi, tuttavia, sono i freddi numeri sull’andamento Usa, e le ipotesi più o meno riscontrabili degli economisti, ieri, un sondaggio della Fox, uno dei network americani più seguiti, ha data notizia di un sondaggio, in cui il 51% degli intervistati ritiene che a vincere le elezioni presidenziali, sarà ancora una volta Trump, contro il 42% che ha sostenuto che alla Casa Bianca andrà l’ex vice presidente di Obama. Si tratta di un pronostico, e non di una dichiarazione di voto, ma è altamente probabile che chi abbia dichiarato di aver intuito che sarà The Donald il 46° presidente degli Stati, sia anche un suo elettore, oltre che un auspicio per un bis del magnate a Washington. Una spinta ulteriore, visto che quasi tutte le rilevazioni durante la campagna elettorale hanno messo in evidenza un primato di Biden, a volte anche rilevante. Sicuramente Trump è in grande rimonta, rivitalizzato dai numeri dell’economia, e sottostimato dai sondaggi, come quattro anni fa. Ma, soprattutto, è spinto dalla grande voglia di ripartire di gran parte del popolo americano, distante dalle paure e timori che quotidianamente la parte politica di Biden trasmette agli elettori. Da una parte l’élan vital di Bergson, lo slancio vitale necessario per ampliare gli orizzonti e rinvigorire il desiderio di una felicità (un diritto, secondo la costituzione americana) sempre più piena, trasmessa da Trump; dall’altra la cupezza che traspare dalla visione di Biden e dei suoi compagni di avventura.