Se l’obiezione di coscienza diventa il nuovo modo di fare politica

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Se l’obiezione di coscienza diventa il nuovo modo di fare politica

22 Gennaio 2009

I conduttori genovesi hanno fatto obiezione di coscienza contro gli “autobus atei”. Hanno detto che non li avrebbero mai guidati. Credenti o non credenti, il problema di Dio non va trattato in quel modo, che offenderebbe non solo il credente Alioscia ma anche l’ateo Ivan Karamazov. C’è una serietà sia nella fede sia nell’ateismo che il buon senso riconosce e difende. In contemporanea il re Alberto II del Belgio non fa obiezione di coscienza e mette la sua firma sotto una legge che considera l’embrione umano mero “materiale biologico”. Lo stesso re aveva anche firmato la legge sull’eutanasia, in netto distacco dal comportamento del fratello Baldovino, che nel 1989 si sospese per non firmare la legge sull’aborto e, di recente, del gran duca Enrico del Lussemburgo, che ha obbligato il parlamento ad organizzare in quattro e quattr’otto addirittura una riforma costituzionale per assicurare l’entrata in vigore della legge sull’eutanasia nel piccolo paese della finanza.

Comportamenti diversi, ma che attestano un fatto ormai irrefutabile: sempre di più dovremo affrontare problemi di obiezione di coscienza, anzi quella dell’obiezione di coscienza è la nuova frontiera della politica. La sua generalizzazione, infatti, le toglie l’impronta di testimonianza personale oppure, in linguaggio socio-religioso, di profetismo. Ai primi obiettori del servizio militare potevano ancora essere attribuite queste categorie, ma ormai le tematiche che sollecitano l’obiezione di coscienza sono talmente pervasive, quotidiane e così connesse con lo sviluppo della scienza e lo sviluppo della società, da uscire dall’ambito individuale ed entrare a pieno titolo in quello politico. Un nuovo modo di fare politica.

Un anno fa, fece discutere un discorso in cui Benedetto XVI chiedeva ai farmacisti di fare obiezione di coscienza, per esempio di fronte ai tanti farmaci che hanno effetto abortivo. Quando era scoppiata la discussione sui Dico, molti prospettarono il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli ufficiali comunali, che avrebbero potuto non iscrivere coppie di fatto e/o omosessuali ove le leggi comunali lo prescrivessero. Il governo inglese aveva vietato l’uso dei termini mamma e papà nelle scuole elementari, in funzione antidiscriminatoria, ma questo poteva comportare un diritto dei maestri ad adoperare ugualmente quei termini, obiettando in coscienza alla legge. Per non parlare, poi, di chi lavora a diverso titolo in centri di crioconservazione degli embrioni, o in strutture sanitarie che praticano aborti o inseminazione artificiale. Ora sono arrivati anche gli autobus atei e l’obiezione di coscienza dei conduttori dell’azienda municipalizzata di Genova. I loro colleghi inglese non avevan obiettato, essi invece sì.

L’obiezione di coscienza è destinata così a dettare l’agenda alla politica, ad esprimere valutazioni politiche, ad anticipare, come in un sondaggio di coscienza, l’accoglienza o meno di una disposizione. Sempre più motivata con argomentazioni politiche, essa è in grado di elaborare idee e di indicare le riforme auspicate. Di fatto essa nasce da una dismissione di responsabilità etica da parte dello Stato. La cosa è negativa se la si considera conseguenza di un agnosticismo delle istituzioni. E’ positiva se la considera come una assunzione di responsabilità etica delle persone e della società civile. Inoltre l’obiezione di coscienza esprime coerenza, e in un mondo spesso confuso, porta elementi di chiarezza. Essa è l’altra faccia del “relativismo”, che richiede di “darsi ragione” dei propri atti in prima persona. Essa va intesa come “resistenza” ma anche come “ripresa”, ossia come un impegno non solo negativo ma anche positivo e propositivo.

Si può allora prevedere una evoluzione di questo tipo: un tempo l’obiezione di coscienza aveva un carattere libertario e radicale, perché opposta ad uno Stato dai forti connotati etici, ora ha, al contrario, un carattere etico improntato alla legge naturale, perché si oppone ad uno Stato che tende a dire di sì a tutti i desideri.