Se l’occupazione ha tenuto nonostante la crisi è grazie alle misure del Governo
20 Luglio 2009
La rilevazione Istat sulle forze di lavoro nel primo trimestre dell’anno in corso ha registrato un incremento di 0,9 punti percentuali del tasso di disoccupazione con riferimento al primo trimestre del 2008. Rispetto al IV trimestre del 2008 il tasso di disoccupazione destagionalizzato è aumentato di 3 decimi di punto. Vi sono poi all’interno di questi dati variazioni significative se si considerano i diversi settori. A fronte di un calo complessivo dello 0,3% si è registrata una flessione dell’1,5% in agricoltura, dello 0,45 nell’industria in senso stretto al pari di quello riscontrato nei servizi, mentre sono cresciuti dell’1% gli occupati nelle costruzioni. In cifra assoluta non possiamo fare a meno di notare che, a fronte di un calo di occupati pari a 426mila unità della componente italiana vi è stato un incremento di 222mila unità di lavoratori stranieri.
Questi dati – che meriterebbero un’analisi ben più approfondita – consentono tuttavia alcune considerazioni di sintesi:
a) la struttura dell’occupazione e l’insieme dell’apparato produttivo tengono nonostante la grave crisi (lo ha fatto notare anche il presidente dell’Inps Antonio Mastrapasqua commentando gli andamenti delle riscossioni del suo Istituto);
b) gli andamenti del mercato del lavoro presentano diversi aspetti contradditori, ma soprattutto gli assetti occupazionali non sono – quanto meno non sono ancora – “una notte in cui tutte le vacche sono nere”. Eppure, il primo trimestre del 2009 è stato il peggior periodo che il Paese ha attraversato durante questa maledetta crisi.
Se si osserva il grafico della Cig nel primo trimestre dell’anno emerge che la linea si inerpica da gennaio per toccare il picco a febbraio. In valori assoluti nei primi tre mesi del 2009 si passa dai 29 milioni di ore autorizzate alla fine del 2008 ai 58 milioni di marzo (ci riferiamo ovviamente ai dati del singolo mese). Poi sappiamo del calo dell’8% di giugno su maggio (da 87 milioni a 80 milioni). Ma tornando al primo trimestre il confronto è presto fatto: mentre la crisi batteva con più intensità alle porte della Cig, l’occupazione teneva.
Questo risultato ha una sola spiegazione: ha avuto successo la scelta compiuta dal governo di privilegiare quegli strumenti, nel caos degli ammortizzatori sociali, che consentono di mantenere vivo un rapporto di lavoro tra le imprese (pur in crisi di ordinativi e vessate dalle banche) e la loro manodopera. Non sappiamo fino a quando tale situazione potrà durare e se in autunno verrà il momento per il sistema delle imprese di misurarsi strutturalmente con gli effetti della crisi anche sul versante dell’occupazione.
Se però il governo avesse seguito le indicazioni delle opposizioni tese a privilegiare, nei fatti, l’istituzione di un’indennità di disoccupazione a vocazione universalistica (un’operazione che sarebbe costata dai 4 ai 15 miliardi a seconda del livello di tutela e della platea interessata), ciò avrebbe inviato alle imprese un segnale devastante, perché non sarebbe potuto essere diversamente quando un Paese investe la quasi totalità delle risorse disponibili sulla tutela di chi il posto di lavoro lo ha perduto e non sulle misure che possono consentire di non perderlo o quanto meno di rinviare nel tempo questo dramma.
Dopo il finanziamento della Cig in deroga, il Governo, nel decreto anticrisi ha rafforzato i contratti di solidarietà, premiato le aziende che non licenziano consentendo loro di impiegare i propri dipendenti in attività di formazione all’interno dell’azienda stessa.
Viene rimproverato alla maggioranza ed al governo di non aver fatto abbastanza per i precari, quando invece è stata introdotta sia pure una tantum un’indennità di reinserimento il cui importo può variare da 1000 a 2500 euro. Il fatto che pochi (meno di 2000) collaboratori in regime di monocommittenza ne abbiano fatto richiesta può avere tante spiegazioni: l’inadeguatezza dei requisiti richiesti ma forse anche la rappresentazione di una realtà che non corrisponde sempre alle analisi compiute correntemente per quanto riguarda il numero dei precari e di quelli che hanno perduto il lavoro.
In ogni caso che le prestazioni previdenziali siano corrisposte a fronte di precisi requisiti assicurativi e contributivi è una storia vecchia come il cucco. E tutti i governi hanno dovuto misurarsi con la dura logica dei requisiti. Si prenda il caso delle prestazioni previdenziali minori riconosciute ai cococo (malattia e degenza ospedaliera, maternità e assegni familiari) corrisposte a fronte del pagamento di un’aliquota contributiva dello 0,50%. Nel 2008 l’indennità di degenza ospedaliera – ad esempio – ha oscillato – a seconda dei contributi di riferimento accreditati – tra i 39 e i 9,7 euro a giornata. E’ una stima contenuta in un saggio dal titolo Flex-insecurity edito dal Mulino. Gli autori hanno pure stimato che i requisiti richiesti per l’accredito abbia escluso dal godimento della prestazione il 25% degli uomini e il 40% delle donne. E si parla del sostegno al reddito di una persona malata! Nessuno scagli la prima pietra dunque.
Sarebbe sufficiente prendere le mosse dall’indennità di reinserimento dei collaboratori in regime di monocommittenza (che lavorano cioè per un solo committente) e renderla strutturale, finanziandola attraverso la contribuzione sociale da parte delle categorie interessate, arricchendo così il pacchetto della previdenza non pensionistica.