Se l’odio religioso non si ferma l’Egitto diventerà come il Pakistan

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se l’odio religioso non si ferma l’Egitto diventerà come il Pakistan

11 Marzo 2011

In Egitto cresce la tensione fra copti e musulmani. Martedì ci sono stati scontri violenti nel quartiere di Abhazya, al Cairo. Il bilancio è di almeno 13 morti e 140 feriti. Le violenze sono esplose durante una protesta cristiana per la ricostruzione della chiesa copta di San Mina e San Giorgio distrutta e poi data alle fiamme dai musulmani nel villaggio di Soul lo scorso 5 marzo. Per evitare che la situazione rischi di degenerare acuendo la rivalità tra cristiani e musulmani, sembra esserci l’intenzione del governo provvisorio guidato dai militari, di affrettare la ricostruzione della chiesa.

Gli scontri sono iniziati martedì quando migliaia di copti, appoggiati anche da diversi musulmani, hanno bloccato due strade che portano verso piazza Tarhir, suscitando l’ira degli automobilisti. Gruppi di radicali islamici salafiti sono giunti sul luogo e hanno iniziato a scontrarsi con i manifestanti, costringendo l’intervento dell’esercito. Fonti locali hanno messo in evidenza che anche molti copti dei quartieri più poveri, in passato oggetto di violenza da parte dei musulmani, hanno contribuito a far degenerare la manifestazione. Nel quartiere serpeggia ancora la tensione. Si sono sentiti ripetuti colpi d’arma da fuoco e molte famiglie hanno preferito non mandare i figli a scuola per giorni.

La comunità copta è da secoli oggetto di ingiustizie e violenze da parte dei musulmani, soprattutto nell’Alto Egitto, dove nel 2010 si sono registrati oltre 21 dei 59 incidenti avvenuti nel Paese. Di recente, il governatore della regione di Minya (Alto Egitto) ha ordinato senza motivo apparente la demolizione di un ospedale per portatori di handicap retto dalla Chiesa copta nel villaggio di Deir Barsha. Lo scorso 28 febbraio oltre 10mila copti  hanno manifestato contro il governatore, obbligandolo a interrompere le operazioni di demolizione. Nel villaggio di  Saeed Abdelmassih lo stesso governatore ha fatto invece demolire dall’esercito le abitazioni della comunità cristiana perché si era rifiutata di pagare una tassa extra.

Tutti episodi che testimoniano una situazione potenzialmente esplosiva. L’Egitto sta vivendo una delicata fase di transizione e il vuoto di potere seguito alla fine del trentennale potere di Mubarak aumenta il quadro dell’incertezza. A dire la verità le condizioni per i coopti si erano fatte complicate anche negli ultimi anni di Mubarak. Il Faraone, spinto dal crescente malcontento, aveva abbandonato la politica, molto spesso rimasta solo teorica, della tutela delle minoranze. Un atteggiamento meno “laico” che strizzava l’occhio alla parte più radicale della società egiziana. Come sappiano è servito a poco. Mubarak non c’è più ma la situazione per i coopti resta comunque difficile. Tuttavia la comunità coopta resta una componente essenziale della società egiziana e continua ad esercitare una certa influenza sul sistema di potere che si sta consolidando in questi mesi.

Naguib Sawiris, presidente esecutivo di Orascom e dell’italiana Wind, nonché leader egiziano nel gruppo dei “saggi” che ha preso parte ai colloqui con il governo per avviare la transizione, aveva esortato i manifestanti ad accettare che il presidente Hosni Mubarak restasse al suo posto fino a quando un chiaro meccanismo per la transizione non fosse  stato elaborato. La proposta del magnate delle telecomunicazioni è rimasta inascoltata ma, pur avendo fatto affari con l’ex presidente, assieme agli esponenti più in vista della comunità copta resta un personaggio chiave per il futuro dell’Egitto.

Lo dimostra anche la nomina a ministro del Turismo, settore strategico per il Paese, di Mounir Fakhri Abdel Nour. Esponente di punta della società copta è segretario generale del partito Wafd, liberali di destra, nazionalisti, da sempre all’opposizione (ma anche considerati flessibili verso il regime di Mubarak). Ma il futuro della comunità cristiana in Egitto dipenderà principalmente dall’orientamento del governo transitorio e poi dall’assetto politico che verrà fuori dalle prossime elezioni. Nel frattempo sarà fondamentale osservare quello che succederà nel caso in cui i Fratelli musulmani dovessero egemonizzare il sistema politico.

La Fratellanza è spaccata. Da una parte c’è la componente più “moderata”, quella che negli ultimi anni era scesa a piatti con Mubarak pur di rientrare nel campo della legalità. Se dovesse prevalere questa corrente che si inspira alla democrazia di stampo turco (dove seppur non siano mancate le violenze contro i cristiani) esistono leggi che tutelano le minoranze religiose, i coopti potranno continuare a giocare un ruolo importante in Egitto e sperare nell’instaurazione di norme che tutelino i non musulmani. Se a prevalere dovesse essere la corrente più intransigente dei Fratelli musulmani allora l’Egitto potrebbe divenire pericoloso per i copti come l’Iraq e il Pakistan dove i cristiani sono considerati come la quinta colonna dell’imperialismo occidentale.