Se ne va Monti, rimane la (legge) Fornero
04 Gennaio 2013
Le recenti dichiarazioni del Presidente Monti hanno anticipato il termine della Legislatura di qualche mese. Come hanno immediatamente notato i media, sono diversi i provvedimenti in attesa di approvazione che “salteranno”. Stessa sorte toccherà a molte deleghe e decreti previsti nei testi di legge già in vigore. Nei diversi Ministeri sono queste, di conseguenza, giornate dedicate a capire quali adempimenti hanno bisogno di decisa accelerazione per non vanificare il lavoro di oltre un anno e quali, invece, sono destinati a rimanere sulla carta. Come è normale, diverse riforme già entrate in vigore e ormai ampiamente discusse e conosciute dalla popolazione, sono in realtà monche di atti necessari, in esse stesse previsti, per il completamento del disegno complessivo.
In apparenza questo problema pare interessare solo marginalmente l’intervento di revisione del diritto del lavoro entrato in vigore il 18 luglio scorso. La fine anticipata del mandato del Governo impedirà l’esercizio di diverse deleghe contenute nella legga 92 e rende incerta l’emanazione di alcuni decreti ancora in cantiere. Molti addetti ai lavori considerano questi atti dei tasselli non determinanti per la costruzione del mosaico che, non senza fatica, sta andando concludendosi (ne sono prova i tanti interventi per via amministrativa pubblicati negli ultimi cinque mesi).
Invero, si tratta di norme che renderebbero più equilibrato l’impianto della riforma del lavoro. In particolare pare destinata, ancora una volta, a non realizzarsi la delega sui servizi per l’impiego e le politiche attive scaturita addirittura dal “patto sul welfare” del 2007. Cinque anni di rinnovi senza esito. Nonostante gli studi sulla performance dei servizi pubblici per il lavoro siano piuttosto eloquenti circa l’efficienza dello Stato in materia: migliaia di operatori lasciati a sé stessi, ormai in buona parte responsabili della sola compilazione delle anagrafiche dei disoccupati, ma che potrebbero diventare reparti scelti nella guerra di trincea contro la disoccupazione. E nonostante, a detta della maggior parte degli osservatori, le politiche attive siano il tassello mancante del progetto complessivo della riforma Fornero. La crisi di bilancio del nostro Stato (le politiche attive costano) spiega questa assenza, ma non la giustifica. Tanto più “col senno di poi”, considerati i dati sempre più preoccupanti pubblicati mensilmente dall’Istat.
La recente “staffetta generazionale” messa a punto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali altro non è che un tentativo di intervenire per una maggiore movimentazione del mercato del lavoro; politica attiva dunque. Allo stesso modo possono definirsi gli incentivi per la stabilizzazione dei contratti di lavoro varati dallo stesso Ministero ad ottobre ed esauriti dopo qualche giorno, “razziati” da un tessuto imprenditoriale fortemente destabilizzato dalle disposizioni della legge 92/2012. Interventi concreti, ma che potevano esser ancor più incidenti se inseriti nell’impalcatura della riforma.
Non si concretizzerà pienamente neanche la delega per la predisposizione di norme generali per l’individuazione e la validazione dei diversi tipi di apprendimenti e per la certificazione delle competenze acquisite nei vari percorsi formativi. Il decreto interministeriale del 29 settembre 2012 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca ha recepito il testo dell’Accordo in materia di certificazione delle competenze sottoscritto dalla Conferenza Stato-Regioni. E’ un primo esercizio della delega, ma molto ancora si dovrebbe fare per raccordare in modo organico le previsioni di quell’accordo con quanto contenuto nel Testo Unico dell’apprendistato. In particolare il mancato riferimento al repertorio delle professioni, occasione unica di dialogo tra mondo dell’istruzione/formazione e mondo del lavoro, può incidere negativamente sul futuro dello stesso contratto di apprendistato.
Da ultimo, destinata a rimanere negli archivi anche la delega per la partecipazione. Tralasciando le novità in materia di informazione e consultazione dei lavoratori, si tratta di un’occasione persa soprattutto per la sperimentazione del controllo sull’andamento aziendale da parte di rappresentanti dei lavoratori mediante la partecipazione negli organi di sorveglianza.
Il compito di profilare meno sommariamente le disposizione della legge 92 alle esigenze del mercato del lavoro passa, quindi, al prossimo Governo. Forse scadranno i termini per l’esercizio delle deleghe, ma certamente resterà in vigore quanto prevede l’articolo 1 della stessa legge: «dagli esiti del monitoraggio e della valutazione (…) sono desunti elementi per l’implementazione ovvero per eventuali correzioni delle misure e degli interventi introdotti dalla presente legge, anche alla luce dell’evoluzione del quadro macroeconomico, degli andamenti produttivi, delle dinamiche del mercato del lavoro e, più in generale, di quelle sociali». Che almeno queste intenzioni non rimangano sulla carta e, indipendentemente dal colore di chi governerà nel 2013, senza furori ideologici ma partendo dal dato reale, si abbia il coraggio e la competenza di correggere quelle storture che rendono ancor più accidentato un mercato del lavoro, quello italiano, che lineare non è mai stato.
Tratto da amicimarcobiagi