Se non ora quando liberarsi di Tantawi e dei generali?
20 Dicembre 2011
Uno si aspetterebbe che cliccando sul sito del movimento "Se non ora quando" o sul profilo facebook delle italiane che si mobilitano in nome dei diritti della donna ci fosse almeno un riflesso di quant’è accaduto al Cairo nei giorni scorsi. Parliamo della terribile foto in cui si vede una povera ragazza circondata da poliziotti in tenuta anti-sommossa, che le saltano addosso con tutti e due i piedi, tirandola per le braccia e le gambe, dopo averle strappato la camicia lasciandola in reggiseno sul selciato. Invece sul sito e sul facebook (55.000 "mi piace") delle nostre Giovanna D’Arco non c’è traccia di Piazza Tahrir, né si annunciano iniziative al di fuori del "Se non ora party".
Può far sorridere ma la cosa si aggrava quando girando sui siti delle riviste americane, sia di orientamento democratico che repubblicano, e andando in cerca di maggiori informazioni sulla protesta delle donne egiziane che ieri sono scese in piazza in diecimila marciando contro i Generali (la repressione degli ultimi giorn ha fatto 12 morti accertati e oltre 600 feriti), non si trova nulla sull’Egitto, solo articoli sul paffuto nuovo despota coreano e le costose vacanze di un Obama in risalita nei sondaggi alle Hawaii. Piazza Tahrir e le rivoluzioni democratiche del mondo arabo sono solo un ricordo per l’America che vuole uscire dalla crisi e si prepara alla kermesse delle presidenziali.
Intanto l’Egitto si avvicina al default economico prima che al collasso sociale. Salgono inflazione e disoccupazione, il turismo è in bilico (è un augurio), il governo di transizione medita una cura draconiana con tagli e risparmi in stile vagamente europeo. Solo che a differenza dell’Europa in Egitto i diritti delle donne vengono calpestati, le ragazze costrette a fare i test della verginità dopo l’arresto, il pugno dei militari è così duro che addirittura il candidato salafita alle elezioni – i salafiti, non il partito dei Fratelli Musulmani – si vergogna e dice che l’Egitto ha fatto una figuraccia internazionale trattando in quel modo le figlie del Nilo.
Sappiamo tutti che in Egitto si paventa la prossima e probabile salita al governo degli islamici che hanno un’idea ben precisa del ruolo e della condizione della donna nella società. Si dice spesso che le rivoluzioni arabe avrebbero potuto essere un’occasione democratica per Paesi che uscivano da un letargo di privazione della libertà, autarchia e dominazioni autoritarie, e che invece Loto e Gelsomino verranno recisi da una nuova classe dirigente d’ispirazione religiosa, sul modello turco, o nella peggiore delle ipotesi da un enorme Hamastan in grado di destabilizzare il Nord Africa e il Medio Oriente.
Si dicono molte cose ma forse sarebbe bastato che le radical-chic del se non ora quando, come pure Michelle Malkin, la Coulter e le suffragette anti-islamiche dell’America blu s’incazzassero un po’ di più di quanto hanno fatto (cioè niente) davanti alle scene dei giorni scorsi. Hillary Clinton ha chiesto spiegazioni alla giunta militare, Tantawi ha promesso le teste dei poliziotti violenti. Ma senza una mobilitazione globale stile occupiamo Wall Street le diecimila donne egiziane resteranno quello che sono, una minoranza, velata e non.