Se non vi piace la “differenziata” preparatevi ai Termovalorizzatori

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Se non vi piace la “differenziata” preparatevi ai Termovalorizzatori

11 Ottobre 2010

I nuovi, o forse vecchi problemi  che stanno esplodendo in questi ultimi giorni in Campania riportano all’attenzione il tema della raccolta della spazzatura e, soprattutto, la composizione dei materiali che finiscono in discarica rispetto a quelli che “dovrebbero” finirci: a parte poi dovremmo discutere se abbia senso continuare ad alimentare le discariche o se piuttosto non si debba affrontare seriamente l’argomento Termovalorizzatori. Tema questo quasi più caldo del ritorno al nucleare.

Chiediamoci innanzitutto cosaa dovrebbe andare in discarica facendo finta di non sapere che la criminalità organizzata, tanto in quelle ufficiali che in quelle abusive, ha scaricato di tutto e di più. Andiamo con ordine: la normativa europea al riguardo indica che il 65% dei rifiuti dovrebbe subire una raccolta differenziata mentre il restante 35% , classificato come RSU, residui solidi urbani, deve essere avviato in discarica o ad una termovalorizzazione.

La finalità del 65% è essenzialmente quella del riciclo, cioè il recupero dei materiali (metalli, plastica, vetro, carta, rifiuti organici intesi come scarti da cucina ecc.). In questo modo, da una parte si rimette nel ciclo produttivo tutto il materiale in grado di poter essere recuperato e trattato e, al contempo, si evita di depositare in discarica del materiale organico umido. Questo, fermentando,  innesca processi di putrefazione e la formazione di percolato che produce un inquinamento del terreno circostante la discarica e delle falde acquifere sottostanti mentre dovrebbe essere avviato, unitamente agli sfalci verdi, al compostaggio per uso agricolo o produzione di biogas.

Tutto questo in teoria: nella realtà in Italia siamo in media a non più del 25%, ben lontani dal recupero del 65% dei rifiuti che produciamo con, in più, la spada di Damocle dell’Unione che ha posto la data del 31 dicembre 2011 come limite per raggiungere questo standard virtuoso, pena la solita procedura di infrazione con conseguente multa astronomica al nostro paese ben aduso a questa situzione.

Annualmente si producono nel nostro paese circa 32,5 milioni di tonnellate di rifiuti pari a circa 550 chili pro-capite. Se fossimo riusciti ad applicare la norma europea mensilmente dovrebbe essere avviato a discarica non più del 35% di questo materiale, cioè circa 948 mila tonnellate di RSU. In realtà ci va circa il 48% del totale, cioè 1,3 milioni di tonnellate; considerando che un terzo è ascrivibile a materiale organico, ne deriva che annualmente 10,4 milioni di tonnellate rappresentano materiali riciclabili, le così dette materie prime seconde, che sono perse in discarica e non utilizzate.

Ed ecco quindi che il paese butta via una “miniera di risorse” con evidente perdita di valore legata alle materie prime che non vengono sfruttate e che potrebbe invece riutilizzare producendo anche un inutile aggravio per l’ambiente.In realtà i tecnici sono piuttosto pessimisti circa il raggiungimento del limite europeo entro la data prefissata: a livelli di tale efficienza ci sia arriva solitamente per gradi e con un’opera di sensibilizzazione capillare del pubblico, tutte cose che non sono state realizzate a nessun livello nel paese salvo pochissime isole felici.

La separazione del materiale organico, in principio, potrebbe anche essere realizzata a valle della raccolta complessiva, ma in questo caso i costi salgono e l’impatto sugli impianti è tale da renderli più fragili e con vite medie accorciate producendo in definitiva ulteriori aggravi economici. Il panorama italiano è desolante al riguardo, alle parole spese nei dibattiti o nei programmi elettorali non seguono mai fatti concreti così che poi ci ritroviamo il problema della discarica di Terzigno, perdipiù alle falde del Vesuvio; ulteriore contributo alla follia che ha permesso, in quelle zone a rischio appena “il gigante della montagna” si risveglierà, di costruire un tessuto abitativo oggi oramai senza soluzione di continuità.

E non stiamo meglio nelle metropoli: Roma ne è un esempio eclatante. Eppure c’è da chiedersi cosa costerebbe avere in casa tre sacchio differenti per i rifiuti domestici e provvedere alla loro raccolta? In Svizzera non solo questa è la prassi, ma è anzi obbligatoria; i cittadini i sacchi li pagano andandoli a comprare negli uffici della locale Nettezza Urbana e guai a chi si sbaglia o cerca di imbrogliare perché ogni tanto c’è anche una verifica a campione degli stessi e le multe fanno molto male. Ma lì è la Svizzera, paese freddo e noioso: vuoi mettere com’è meglio l’Italia? O’ paese do’ sole?