Se Putin ferma l’onda dei disperati

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Se Putin ferma l’onda dei disperati

20 Settembre 2015

Per quattro lunghi anni Vladimir Putin ha assistito alla sequela di errori di Obama in Siria. Abbandonare al suo destino l’opposizione pacifica che si era sollevata contro il presidente Assad. Minacciare ritorsioni per i massacri di civili compiuti dal governo siriano, parole al vento che hanno finito per rafforzare il consenso sunnita verso lo Stato islamico. L’incapacità americana di responsabilizzare l’alleato turco rispetto agli obblighi verso la NATO, se è vero che ci sono 4 milioni di nuovi profughi in attesa del via libera di Ankara per dirigersi in Europa. Fino alla destabilizzazione dei Balcani e dell’Europa centro-orientale sotto il peso della tragedia migratoria, la grande fuga di massa dal Medio Oriente insanguinato dall’ISIS. Le notizie che giungono da Croazia, Ungheria, Serbia, Macedonia, Bosnia, il rialzarsi dei toni in una regione già stremata dalle guerre recenti, non promettono nulla di buono.

 

A questo punto il capo del Cremlino ha deciso di intervenire in Siria. Lo ha fatto a modo suo, energico, sprezzante, inviando consiglieri militari, materiale bellico, aerei, che garantiscono l’ultima ridotta ad Assad e forse serviranno a portarlo in salvo con l’elite alawita se la situazione dovesse precipitare. Putin insomma dimostra di sapere quello che fa, di avere una visione chiara della politica estera, vuole prendere in mano la situazione in Siria ed evitare il definitivo fallimento del vecchio alleato che garantisce a Mosca lo sbocco sul Mediterraneo. E così, mentre l’Europa arranca incapace di parlare con una voce sulla questione dei profughi, il segretario di stato Kerry alza il telefono e chiama l’omologo russo Lavrov per un dialogo "military to military"; mentre si punisce la Russia con le sanzioni per l’invasione della Crimea e l’ingerenza in Ucraina, si delega a Putin una soluzione onorevole per la Siria, rendendolo il garante di una eventuale transizione politica.

 

Settimane fa i vertici delle forze armate americane avevano detto che ci sarebbero voluti vent’anni per risolvere la drammatica vicenda di chi scappa dal Medio Oriente per salvarsi la vita. Putin, che certo non agisce per buon cuore, rischia di impiegarci molto meno. Dunque a questo hanno portato quattro anni di guerra civile in Siria, 250 mila morti, milioni di profughi: Putin vero leader politico, la Russia che torna protagonista nel concerto delle potenze, l’America che insegue. Per cinquant’anni il pilastro della politica estera americana è stato tenere lontana Mosca dal Medio Oriente, poi è arrivato il presidente democratico con la sua politica della mano tesa, della cooperazione con gli Stati avversari e nemici giurati degli USA. Il risultato, secondo il New York Times, è un "fallimento abissale". Dicevano che il Ventunesimo sarebbe stato il secolo americano. Che la Turchia era in ascesa e la Russia in declino. Ma Ankara pensa ai fatti suoi e l’irresolutezza di Obama ha solo rafforzato i regimi autoritari come Teheran. Putin fa e disfa. E intanto anche la Cina osserva e aspetta.