Se sei una danzatrice in Pakistan vieni ammazzata sulla pubblica piazza

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Se sei una danzatrice in Pakistan vieni ammazzata sulla pubblica piazza

16 Gennaio 2009

Minora, a nord di Peshawar, nella valle Shwat, un territorio meglio conosciuto come il “Talibastan”. Lo scorso 2 gennaio la celebre danzatrice pakistana Shabana viene ritrovata morta con il corpo coperto di banconote, foto, cd e dvd delle sue esibizioni artistiche. Quattro uomini sono entrati in casa sua fingendosi clienti, l’hanno guardata ballare, poi l’hanno trascinata di forza nella pubblica piazza e qui le hanno sparato qualche colpo di pistola in testa. “Ogni ragazza trovata a danzare in qualsiasi parte della provincia verrà giustiziata sul posto”, queste le parole del portavoce di Tehrik-e-Taliban, il movimento islamista che controlla il territorio ed ha rivendicato pubblicamente l’omicidio.

Grazie alla danza le ragazze pakistane possono arrivare a guadagnare fino a 50.000 rupie a notte (circa 500 euro), una cifra considerata immorale dai Talebani, soprattutto perché in molti casi sfugge al loro monopolio economico sull’oppio, le armi e i corpi umani. Quando si dice che bisogna rispettare le culture e le tradizioni altrui, bisognerebbe sapere che i Talebani hanno distrutto una tradizione millenaria. Oggi, in quella parte del Pakistan, la danza è considerata una forma di prostituzione e le ballerine vengono definite mwmis, degne cioè della pena capitale.

Nella “Terra dei Puri”, ormai totalmente fuori dal controllo di Islamabad, le donne sono pura merce di scambio, oggetti di soddisfazione sessuale per qualche pio e retto Talebano. Qualche giorno prima della morte Shabana, infatti, Maulana Shah Dauran, il numero due dei Talebani di Swat, aveva avvertito con degli annunci alla radio che tutti gli uomini dei villaggi avrebbero dovuto denunciare in moschea le donne nubili della propria casa. Le sfortunate sarebbero successivamente andate in moglie ai militanti, e se qualcuna di loro si fosse rifiutata sarebbe stata costretta al matrimonio. “Sposati, altrimenti verrai disonorata!”. Una donna sola che vive senza la protezione di un uomo è la facile preda (ed è anche ritenuta colpevole di indurre in tentazione) di maschi incapaci di trattenere i propri istinti. I Talebani si ritengono ontologicamente superiori alla donna. Se parliamo di assassini, pedofili, stupratori, hanno perfettamente ragione. Eccolo l’esercito di Dio.

La danza non è la sola arte ad aver pagato il conto di questo islamismo preistorico; stessa sorte è toccata alla musica qawwali, un rito mistico islamico capace di portare a uno stato di trance (ma’rifat) che permette di raggiungere un livello di conoscenza e unione con il divino che non è raggiungibile solo con la preghiera e il sacrificio ma proprio grazie alla con danza e al canto; la stessa estasi descritta nello “Ione” del filosofo greco Platone. Secondo i fondamentalisti islamici la musica qawwali, la filosofia sufi e tutte le altre arti (compresa la danza) “distraggono dalla preghiera” e “incoraggiano la depravazione”.

E’ una fobia per le arti piuttosto che recente che non appartiene alla storia del mondo islamico, o perlomeno non a quella che produsse la poesia della scuola siciliana. Il leader della Moschea Rossa di Islamabad, invece, ha lanciato una violenta campagna antimusicale, riuscendo anche a far chiudere molti negozi di musica a Peshawar. I mullah sono stati spesso immortalati mentre bruciavano strumenti musicali ed è utile ricordare i decreti emessi dallo Stato Talebano dell’Afghanistan nel 1996:

n 2. divieto di fare o ascoltare musica

n 5. divieto di far volare gli aquiloni

n 12. divieto danzare e suonare agli sposalizi

n 13. divieto di suonare il tamburo

n 16. divieto di sottrarsi alla preghiera

Il triste fallimento politico della giunta militare pakistana, insieme alla crisi della missione della Coalizione occidentale, ci riportano ai tempi della polizia religiosa, alle esecuzioni pubbliche e ai continui divieti che giornalmente venivano emanati dai Taliban. Oggi sono alcune regioni del Pakistan ad aver preso il posto del regime di Kabul. Quante altre guerre serviranno (se servono davvero a qualcosa) perché la musica torni a infrangere il silenzio imposto da Tehrik-e-Taliban?