Se si fa sul serio sul “più crescita”, allora si tagli la spesa pubblica

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se si fa sul serio sul “più crescita”, allora si tagli la spesa pubblica

01 Giugno 2012

La confusione regna sovrana. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha riferito questa settimana alla Gran Bretagna che dovrebbe tagliare le tasse, incrementare la spesa e proseguire nel solco del consolidato fiscale del 2010, che vide solo un 1% di tagli alla spesa pubblica. I politici Laburisti e Conservatori stanno da tempo discutendo dell’estremo rigore di tagli alla spesa, questo mentre ignorano un debito pubblico nazionale capace di raggiungere quota 1.6 trilioni di sterline nel 2015, da 1 trilione del 2010. Una falsa dicotomia – sarà l”austerità’ a portarci fuori dalla crisi a portarci fuori dalla crisi o la crescita? – viene posta come se la giusta risposta potesse in qualche modo portarci fuori dalle difficoltà economiche.

In tempi come questi, c’è bisogno di chiarezza. Occorre sapere dove vogliamo andare – e poi occorre implementare le politiche che ci conducano al risultato sperato. Per tutti coloro che sperano di vedere un ritorno a una prosperità duratura, una nuova ricerca pubblicata dal Centre for Policy Studies, sul tema, suggerisce una semplice, specifica via da seguire. Riteniamo che il peso dello Stato in proporzione al Pil pesi significativamente, a parità d’altri fattori, sul tasso di crescita economica di un paese. Se si vuole più crescita, è necessario diminuire il peso dello Stato. Con o senza deficit.

Abbiamo esaminato i 28 paesi dell’Ocse definiti ‘avanzati’ dal Fondo Monetario Internazionale tra il 1965 e il 2010. Utilizzando un’analisi regressiva per controllare il tasso di crescita dei fattori di produzione (fisico, capitale, lavoro e capitale umano) e il Pil iniziale, il nostro risultato suggerisce che riducendo la pressione fiscale o spendendo 5 punti percentuali di Pil in meno, il tasso di crescita del Pil pro-capite crescerebbe dello 0.5/0.6% l’anno.

Un più ampio campione dei paesi ‘avanzati’ (sempre secondo la definizione del FMI) degli ultimi 10 anni sembra avallare tali scoperte. Nel corso di questo periodo, i paesi con meno tasse e meno spesa pubblica (sotto il 40% del Pil) sono cresciuti molto più velocemente dei paesi con una più alta presenza dello Stato nell’economia.

Questi divari nei tassi di crescita sono significativi. Piccole differenze nei tassi percentuali di crescita diventano enormi differenze in termini percentuali nella generazione di ricchezza nel giro di pochi anni. Se il differenziale degli ultimi 10 anni fosse costante per altri 25 anni, le economie dei paesi con meno Stato vedranno raddoppiare il proprio Pil, un incremento all’incirca una crescita del 115% sull’anno base, mentre i paesi più statalisti saranno cresciuti solo del 64%.

Quindi, basta davvero tagliare il peso dello Stato per produrre più ricchezza? Ovviamente no. L’accumulazione e la qualità di altri fattori sono ugualmente importanti. Ma ciò mostra, a parità di condizione, che i paesi con meno Stato e minore pressione fiscale crescono più velocemente.

Chiunque – tranne forse gli ambientalisti più estremisti – convengono sul fatto che maggiore crescita economica è un bene in sè, che, tra le altre cose, porta con sé altri importanti aspetti positivi. Più alti tassi di crescita significano anche più soldi da spendere in servizi pubblici. Come Margaret Thatcher era solita dire, “se vuoi una fetta di torta più grande, cuoci una torta più grande”.

Il fatto che i paesi con meno Stato possano più facilmente accrescere la propria spesa in servizi pubblici rispetto ai paesi più statalisti fa emergere un altro risultato affascinante: gli indicatori chiave in sanità e educazione sono simili in entrambi i gruppi di paesi – e in molti casi sono migliori nei paesi a minore spesa pubblica. Per esempio, secondo l’analisi nei paesi Ocse del Programme for International Student Assessment, gli studenti dei paesi con meno Stato ottengono molto più facilmente migliori risultati nella lettura, in matematica e nelle scienze rispetto ai loro pari dei paesi più statalisti. E anche l’aspettativa di vita risulta leggermente maggiore nei paesi a minore spesa pubblica (81.3 anni) rispetto a quelli con maggiore spesa pubblica (79.9 anni).

Le nostre conclusioni vanno ad aggiungersi a un già significativo corpus di letteratura economica in materia che suggerisce che i paesi a minore spesa pubblica crescono più velocemente dopo aver tenuto conto da altre caratteristiche. Ciò mostra anche come vi sia scarsa correlazione dello Stato in relazione al Pil in alcuni risultati chiave in materia di sanità ed educazione. Si dimostra che nel medio termine, il contenimento del peso dello Stato è un bene per la crescita e che può anche offrire risultati sociali in tutto e per tutto dignitosi quanto quelli raggiunti nei paesi ad alta spesa pubblica.

Tre lezioni possono trarsi: in primis, dobbiamo finanziare tagli fiscali adesso. La spesa pubblica deve essere velocemente ridotta e i tagli fiscali mirati a incoraggiare la crescita delle imprese. Ciò non deve essere affatto considerarsi un metodo draconiano. La spesa in Gran Bretagna è aumentata in termini reali del 53% durante gli anni del New Labour. Tagliare la spesa dopo anni di ‘bagordi’ è di fatto un esercizio di prudenza.

In secondo luogo, i politici, nel discutere di servizi pubblici, dovrebberoconcentrarsi sui risultati, non sull’ammontare in sè dei soldi spesi. Mentre il New Labour si beava del proprio record d’investimenti nel NHS (National Health Service, il servizio sanitario britannico, ndt). senza menzionarne la scarsa produttività, oggi la coalizione di governo, composta da conservatori e liberali, sembra ritenere che l’aumento del budget d’aiuti all’estero sia da valutarsi un bene in sè. Tutto questo deve finire. Non ha senso, infatti, giudicare la competenza in aree di politica in base alle percentuali di Pil speso.

Infine, abbiamo bisogno di concentrarci su quelle riforme che promuovano la crescita dal lato dell’offerta. Lussi come la leggi che favoriscano i congedi per motivi di famiglia o ‘iniziative’ verdi come le tasse sulle emissioni di idrocarburi non sono più sostenibili nell’era dell’austerità.

Tratto dal Wall Street Journal

Traduzione di Eugenio Del Vecchio