Se Trump rimette in moto l’America
12 Gennaio 2017
di Daniela Coli
Obama e i media clintoniani fanno di tutto per imbrigliare il nuovo presidente, perché Donald Trump sta costruendo un nuovo establishment e Wall Street è tanto contenta che è bastato un attacco del Don alle imprese farmaceutiche per farle crollare subito in borsa. Tutto sta in Make America Great Again: MAGA, lo slogan con cui Trump ha vinto. Per Niall Ferguson sarà dieci volte Brexit.
Nel suo blog Pierluigi Fagan spiega che mentre i nostri media delirano di populismo e liberalismo, Trump ha capito che l’America stava perdendo potenza. Da qui lo slogan MAGA. Per Ferguson il 46% degli americani e il 64% dei cinesi ritengono che la Cina abbia rimpiazzato gli Stati Uniti. Trump ha capito che la costruzione dell’economia finanziaria aveva lasciato quella di produzione e di scambio in balia della concorrenza globale. Il delirio clintoniano-obamiano stava lasciando l’America indifesa di fronte alle nuove potenze emergenti.
Se i tycoon americani delocalizzano e lasciano aperte le porte all’immigrazione, impoverendo lavoratori e middle class, l’America perde potenza. L’alleanza di Trump con Putin, e la nomina di segretario di stato di Tillerson, si basa sulla decisione di ricostruire l’economia di produzione e di scambio americana e, per questo, l’America ha bisogno di petrolio, di gas e forse anche di carbone, alla faccia del clima tanto caro a Obama.
Si richiudono le frontiere, si mettono dazi a chi non produce in America e si ritorna all’interesse nazionale, difeso dagli Stati Uniti fin dalla nascita con misure protezionistiche, interrotte solo per ragioni geopolitiche nel secondo dopoguerra col Giappone e per staccare la Cina dalla Russia sovietica. Certo, cambia il mondo, perché a Trump non interessa finanziare la difesa agli europei, né nuove guerre in Medio Oriente, eccetto combattere Isis insieme ai russi, e si concentra sull’America.
Trump non vuole trattati internazionali come il TTP, vuole relazioni bilaterali. Si torna al multilateralismo, a quando le nazioni facevano trattati bilaterali tra loro. Certo, non piace ai banchieri di Hillary, ma piace a Wall Street e questo significa che i ricchi americani tifano per MAGA. Oltre a ricostruire infrastrutture obsolete, Trump pensa anche all’apparato militare (intelligence compresa), che non è riuscito a vincere una guerra dopo quella di Corea.
Con Trump si sono schierati duecento generali americani, alcuni ex-democratici come Michael Flynn, consigliere di Trump per la sicurezza nazionale. Maurizio Molinari ha ricordato che furono i grandi tycoon del primo ‘900 a far diventare New York una grande metropoli: furono uomini di polso che con grandi investimenti trasformarono l’America, Roosevelt si affidò ai consigli dei tycoon per modernizzare l’America.
Per la propria amministrazione Trump ha scelto uomini di polso, espressione dei poteri che formano la spina dorsale del Paese: forze armate, energia, finanzia. L’Europa continentale, senza il Regno Unito, traumatizzata dalla sconfitta di Hillary, si affida alla Cina: per Federico Fubini, se il Regno Unito sceglie Brexit e l’America si affida all”osceno’ tycoon alleato dell’altrettanto, ‘orribile’, Putin, c’è però sempre il World Forum di Davos a gennaio, dove arriverà Xi Jinping. Però a Davos non andrà né la Merkel, né Hollande, né Justin Trudeau, e certo neppure Trump, che il 20 gennaio ha altro a cui pensare.
Reuters informa che i cinesi comprano le imprese tedesche ad alta tecnologia e aprono il mercato alle imprese automobilistiche straniere che producono in Cina e questo non piace ai tedeschi. “Per i cinesi contano solo i propri interessi” ha detto, secondo Reuters, un funzionario tedesco che di novembre ha accompagnato il vicecancelliere Gabriel in Cina. Che l’effetto Trump sia iniziato anche in Europa?