Se valesse il merito e non la laurea l’Italia sarebbe un paese migliore

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Se valesse il merito e non la laurea l’Italia sarebbe un paese migliore

10 Dicembre 2008

Da un anno a questa parte oltre a essere sbandierata come questione fulcro, l’Istruzione riempie anche le pagine dei giornali e la meritocrazia è diventata quasi patrimonio comune della mentalità italica da seconda repubblica, la quale tra i tanti propositi aveva quello di coniugare proprio la Scuola e il merito usando la leva dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, che nulla ha a che fare con il valore “reale”.

La legge 133 sui tagli che hanno colpito anche l’Istruzione e le proposte del ministro Gelmini sono state nell’opinione pubblica italiana come un maremoto. L’ “onda” non è stata solo immaginaria e ora è da vedere se gli effetti saranno anche reali. Tra i tanti propositi ci sono quelli che riguardano la meritocrazia: un freno agli scatti di anzianità, incentivi a non cooptare i candidati interni e valutazione. 

Con Hayek però sappiamo che anche le buone intenzioni hanno esiti inintenzionali e a volte addirittura non voluti. Simili aggiustamenti tecnici con valutazioni dall’alto fanno dubitare i logici della domanda e dell’offerta. Il timore è che, nonostante tutto, il valore legale del titolo di studio attribuito egalitariamente a tutti i “pezzi di carta” fornisca, a chi vuole entrare nell’Amministrazione pubblica e negli Ordini professionali, un infinito incentivo ad ottenerlo nel modo più efficiente possibile: nell’università più facile e meno pretenziosa.  I professori non preparati o non propriamente stacanovisti continueranno così a vedersi premiati da aule piene in barba agli ingranaggi artificiali meritocratici.

In realtà l’incentivo al merito non è qualcosa da creare e inserire nel sistema, ma da scoperchiare e far venire a galla. Esisterebbe se non si livellassero davanti alla legge tante lauree ottenute con docenti, competenze e meriti diversi. Che incentivo si può mai creare a correre più velocemente se poi vengono date medaglie tutte uguali ben spendibili nell’amministrazione pubblica e nelle libere professioni regolate dagli Ordini professionali?

Il ministro dell’Istruzione si è espressa in favore di una tale modifica, affermando che ”l’abolizione del valore legale può essere un azzardo ma è stato comunque inserito nelle linee guida. Forse il sistema può non essere maturo e quindi non sarà il primo punto da affrontare, ma è un punto di arrivo”.

Il punto però potrebbe essere il contrario: se non è il punto di partenza, non ci sarà nessun reale incentivo al merito. È invece un sistema assolto dai naturali incentivi e disincentivi che deve affidarsi alla buona volontà dei singoli operatori e alla loro maturità.

Ora, il ministro Brunetta si è recentemente espresso con forza su questo tema e anche Sacconi sembra da tempo così orientato. I due potrebbero riaprire il dibattito o addirittura fare da sé eliminandone gran parte degli effetti. Potrebbero infatti prevedere che per l’accesso e la carriera nella Pubblica Amministrazione i titoli di studio non abbiano più nessun valore “necessario e cogente” e che per gli Ordini professionali non sia più un requisito imprescindibile ma che in ogni titolo “bisogna guardarci dentro”, osservare quali esami e competenze specifiche si siano ottenuti, con quali professori ecc., per rivalutare l’Istruzione per il suo immenso valore effettivo e non solo formale.