“Se Veltroni vuole indagare sui misteri d’Italia pensi al 1989 non al ’93”

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“Se Veltroni vuole indagare sui misteri d’Italia pensi al 1989 non al ’93”

01 Giugno 2010

Diciassette anni dopo assolto per non aver commesso il fatto. E quel processo non avrebbe dovuto farsi come ha sentenziato la prima sezione della Corte di Appello di Bari. Rino Formica, ex ministro socialista, non nasconde la sofferenza per una vicenda che lo ha toccato umanamente e politicamente, ma guarda le cose da un’altra prospettiva. Sulla vicenda in sé conta l’aver “vinto sul piano della verità”; quanto all’aspetto politico resta fedele alla “regola” della sua generazione: chi fa politica mette in conto anche l’uso improprio di armi spregiudicate come quella giudiziaria”. L’analisi si allarga al tema caldo del momento: la polemica sulle stragi di mafia nel ’93 innescata dalle parole di Veltroni prima e di Ciampi poi. “Quella del ’93 è la data sbagliata, in realtà il mutamento radicale avvenne nell’89” dice Formica che, dati alla mano, argomenta la sua tesi.   

Onorevole Formica, come legge la sua vicenda giudiziaria dalla quale esce a testa alta ma dopo diciassette anni?

Avendo vissuto gli anni della cosiddetta seconda Repubblica con molta serenità ma soprattutto con una grande voglia di capire questo fenomeno non sono stato turbato più di tanto. Quindi non ho vissuto questa esperienza assolutoria come un elemento liberatorio, un cambio di vita.

Ma è stata un’esperienza che l’avrà pure segnata sul piano umano e su quello politico.

Sì, ma c’è una differenza tra l’interpretazione delle ingiustizie giudiziarie tra un cittadino e un cittadino di vecchia generazione coinvolto per ragioni politiche.

Quale?

La mia generazione viveva l’esperienza politica, lo scontro politico mettendo nel conto anche l’uso improprio di armi spregiudicate, come quella giudiziaria. La militanza politica era considerata una forma di attività a più alto rischio perché la politica giocava su un terreno che poi è diventato sempre più aspro e forse arido: il terreno del potere. Prima il potere era fortemente idealizzato; era la conquista del potere per la realizzazione di una visione del mondo; ogni forza politica, poi, considerava che il suo mondo era migliore e quello dell’altro peggiore. Insomma, lo scontro politico era durissimo, senza esclusione di colpi.  A maggior ragione la soddisfazione di aver vinto sul piano della verità questa stagione di lunga sofferenza è fondamentale anche se la vivo come una cosa cui va dato un’importanza relativa.

In che senso?

Perché rappresenta un tassello di un mutamento che è un grande mosaico inesplorato.

A cosa si riferisce, qual è il mosaico che comprende anche la sua vicenda giudiziaria?

Oggi si è aperta una discussione su una ricerca di verità su cosa è successo nel ’93. Se si parla del ’93 lo si fa in sostanza per capire il 2010, cioè la fase successiva. Io sono troppo anziano per non sapere che una delle armi improprie impiegate come armi politiche è stato l’uso della storiografia militante. La manipolazione della storia ha sicuramente una parte che riguarda la lettura dei fatti ma c’è una manipolazione più subdola della storia, ancora di più della manipolazione dei fatti ed è la scelta della data di inizio del cambiamento di un ciclo storico-politico.

Si spieghi meglio.

La discussione che si sta facendo oggi è molto interessante ma è sbagliata la data d’inizio del ciclo. La fase di cambiamento – al di là di segnali che c’erano già stati in precedenza – ha come data di riferimento il 1989 quando il crollo definitivo del sistema comunista nel mondo sgombera il campo da un’illusione che aveva attraversato forze sociali, politiche, nazionali, elites dirigenti che alla fine degli anni ‘70 e per tutti gli anni ‘80 ritenevano che potesse avere successo un processo di riformabilità del comunismo.

Quali furono gli effetti?

Nell’89 avviene una catastrofe non perchè cadono i governi comunisti dell’Est ma perché in quell’anno si conclama un fatto che avrebbe segnato i decenni successivi e che è appena all’inizio nei suoi effetti ancora oggi: il modello visionario comunista che ha suggestionato miliardi di uomini nel Novecento non passa l’esame definitivo e viene fuori che non è riformabile. Tutti gli anni ‘80 sono giocati intorno a questa aspettativa di riformabilità o meno del progetto comunista e del socialismo reale

Torniamo alla data di riferimento che lei indica.

Quella data crea una preoccupazione nelle forze sociali, politiche ma anche e soprattutto in tutte le grandi cancellerie di Stato e in tutti i grandi servizi di sicurezza del mondo. In altre parole, salta in aria l’elemento di stabilità più forte. L’Italia deve affrontare questa difficoltà di mutamento del quadro internazionale ma rispetto agli altri paesi lo deve fare non solo attraverso una sua capacità di ricollocazione, bensì mediante un intervento preoccupato di tante cancellerie di Stato e di quasi tutti i servizi di sicurezza degli altri paesi.

Qual è il motivo?

Essendo stato un paese di frontiera delle due aree – est e ovest -, l’Italia si era mostrata una frontiera molto fragile perché lì si tolleravano connivenze con l’est e connivenze con l’ovest; connivenze pulite e sporche, commerciali e di intelligence. Solo un paese come il nostro poteva avere la sua più grande azienda, la Fiat, che aveva anche un grande potere politico, che costruiva  a Togliattigrad, aveva nel suo Cda Gheddafi e forniva i suoi prodotti industriali per lo scudo spaziale americano…. Questa era la fotografia del momento.

Poi cosa accade?

Dall’89 in poi l’Italia diventò oggetto di osservazione di molte strutture statali e di sicurezza esterne e qui giocano non solo lo sbandamento dei poteri legali e legittimi del paese, o di quelli ambigui. E che ci sia stata pure una preoccupazione dei poteri criminali, non mi pare da mettere in dubbio, anche perché con il crollo del comunismo si determinò un altro fatto: la globalizzazione della criminalità internazionale.

Come valuta le parole di Ciampi sulle stragi di mafia del ’93, all’epoca era premier ma per diciassette anni non ha detto nulla.

Io come tutti, abbiamo rispetto per gli uomini che sono stati chiamati a non fare il mestiere che sapevano fare. Ciampi è andato lì, per usare un vecchio adagio, come un ‘asino in mezzo ai suoni’. Lui ha ricordato o raccontato con anni di ritardo un episodio e cioè che gli cadde la linea telefonica mentre parlava con Manzella, cioè ci fu un black out a Palazzo Chigi. Ora, il modo in cui si comportò fu di grande ingenuità e sprovvedutezza: lui che era professionalmente attrezzato per intervenire sul mercato dei cambi, sull’immissione di liquidità, non era certamente attrezzato a cercare di capire cosa succedeva all’interno dello Stato, della sua difesa e della sua sicurezza.

Per quale ragione, secondo lei?

Io non mi preoccupo di Ciampi ma di Veltroni.

Si spieghi.

Quando Veltroni che è uomo politico ci comincia a raccontare cosa avvenne tra l’89 e il ’93, i rapporti con le ambasciate dell’est e i rapporti politici che non erano più di sudditanza organica ma comunque esistevano; i rapporti tra il suo partito e le forze di Stato e di governo dell’est e dell’ovest come vissero quel mutamento? Insomma, quando avviene un cambiamento così radicale, uno deve cambiare le agende telefoniche…allora, cosa è successo? Questo Veltroni non lo dice ma dovrebbe farlo, invece di stabilire cosa era ‘l’entità’ e dovrebbe dire perché proprio il ’93. Indubbiamente è una data più vicina al ’94 che all’89, cioè più vicina alla discesa in campo di Berlusconi.

Lei che idea si è fatto?

Berlusconi non merita alcuna difesa da parte mia. Dico che in quel momento fu Berlusconi ma poteva essere chiunque altro. Il fatto è che le forze politiche furono avvolte nel ciclone di Tangentopoli ma anche qui siamo costretti a partire dall’89 e non dal ’93.

Ancora?

Sì, perché nel ‘89 in tutte le grandi istituzioni del paese e all’interno dei poteri, vale per l’economia, la finanza, la pubblica amministrazione, la magistratura, i servizi, le forze dell’ordine e del resto avviene anche oggi, vi era – e vi è ancora oggi – un grado di sensibilità maggiore o minore nei confronti del potere politico dominante.

Ritiene che certi magistrati politicizzati possono avere avuto un ruolo determinante nell’uso come dice lei della giustizia come arma impropria di lotta politica?

Quando qualcuno avrà voglia di studiare a fondo il fenomeno, quando ci saremo liberati di tante interpretazioni di comodo, apparirà chiaro che la cosa più pericolosa in quella vicenda giudiziaria, la preoccupazione che spinse ad essere zelanti anche nella magistratura, più che i militanti rossi, erano quelli che avevano avuto molti intrecci col potere precedente. Questo è un capitolo da studiare. Ma davvero si può immaginare che tre o quattro magistrati di Milano sia pure in forma rappresentativa composita (uno di destra, uno di sinistra, altri di centro) potessero diventare un gruppo autonomo? E la dimostrazione della loro debolezza da quel punto di vista, è stata che fatto salvo chi ha avuto un rapporto più alto con la magistratura che poi è entrato in politica, gli altri non l’hanno fatto.

Torniamo alle stragi di mafia. Non solo Veltroni o Ciampi, ma a scatenare le polemiche sono state anche le parole del procuratore nazionale antimafia Grasso. Lei cosa ne pensa?

Ma poi ha corretto…Guardi, Grasso è persona molto onesta che considero al di sopra di ogni sospetto e soprattutto molto fermo ad un analisi settoriale che è quella della sua competenza: la lotta alla mafia. E che la mafia nel ‘93 abbia cercato di capire quale potevano essere le condizioni più favorevoli per sopravvivere di fronte a un cambiamento così radicale, è elemento che rientra perfettamente nella logica del potere criminale.

Sì, ma qui ci sono allusioni, idee oblique, congetture che tentano di stabilire un qualche nesso tra le stragi di mafia e la nascita di Fi.

E’ la stampa che non informa, che si occupa di intercettazioni, di veline. Non è più una stampa che fa inchieste autonome ma una stampa che vive di precotti.

Dunque è sempre colpa della stampa?

L’informazione è centrale, anche la politica, ma è ridotta così male… Non è così per la stampa perché ha fiori di intelligenze al suo interno. Ovviamente mi riferisco al comportamento medio generale; il punto è che si influenzano tra di loro, perché se uno parla del ’93, dell’eventuale legame tra la mafia e ‘l’entità’ si va alla ricerca di quest’ultima dando tutto per scontato, che tutto cominci dal ’93 e questo vale per i giornali di destra e di sinistra. In altre parole si accetta l’imput. Lei stessa ha accettato il ’93, è stata sotto la guida de La Repubblica.  

Ma secondo lei questo costante spargimento di veleni ha un intento destabilizzante rispetto al quadro politico attuale?

Si riempie il vuoto dell’incapacità di elaborazione politica. La tragedia di oggi è che chi è incapace di prospettare una linea di futuro si rifugia nella memoria, ma nella memoria utilizzabile, non è una ricerca della memoria per la verità. Il punto è che questo paese negli ultimi diciotto anni è stato governato da ‘abusivi’ della politica, di destra e di sinistra.

Dalle colonne de Il Foglio Ferrara dice che o Ciampi e Veltroni sanno e dunque parlino, oppure dovrebbero rendere conto del loro atteggiamento. Condivide?

Voglio bene a Giuliano ma per me il suo è un articolo che sta nello stile di chi si è rotto le scatole…

Ma è la stessa domanda che si pone il cittadino.

Il cittadino ha il diritto di non farsi rompere le scatole più, perché in questi vent’anni è stato bombardato da troppe cose che sono state poste come questioni dirimenti e poi la settimana dopo sparivano.  Credo che l’indignazione e il disinteresse della gente alla politica derivi anche dal fatto che nessuna battaglia viene portata a conclusione, come invece avveniva nel Novecento, pur se la politica era fortemente ideologizzata e militante.

Torniamo alla sua vicenda. Lei fu assolto anche nel ’95 e a mandarla a giudizio fu un pm , Maritati, che oggi siede nei banchi del Pd al Senato.

Sono stato assolto in questi giorni e la procura che ha detto che questo era un processo che non si doveva fare. Nel ‘95 subii un altro procedimento e la stessa procura di Bari disse che era un processo che non si poteva fare. Allora, dovetti fare i conti con l’offensiva del pm Maritati, oggi senatore del Pd che chiese il mio rinvio a giudizio.

 Se lo dovesse incontrare oggi cosa gli direbbe?

La mia soddisfazione è che è stato smentito dalla stessa procura alla quale lui apparteneva. Nei suo confronti ho grande compassione… Ricordo che lui nel ’79 è stato candidato del partito socialista alle politiche nel collegio di Lecce ma fu battuto per pochi voti da un autonomista. Poi passò ai comunisti, ma dovrebbe raccontare come ha fatto il magistrato politico.

Lei ha scelto la politica fin da giovane, cosa le è stato sottratto in questi diciassette anni?

Nella mia generazione si discuteva se la politica è una scelta di vita oppure fai la politica perché sei scelto dalla vita. Nella seconda opzione si tratta di una visione religiosa; io, ritengo di aver fatto una scelta di vita e, in questo caso l’incarico non è essenziale come lo è invece nel primo. Quindi non ho mai cessato di fare politica. Non ho avuto incarichi, ma io non ero stato scelto dalla vita.