Se verrà imposta una no fly zone sulla Libia, Gheddafi non resisterà a lungo
01 Marzo 2011
La "battaglia di Libia” continua. Il paese è in piena guerra civile e sta vivendo ore di duro scontro, il cui esito sfugge a qualsiasi calcolo prevedibile. Sappiamo che la Casa Bianca ha riconosciuto ieri (ma la notizia circolava da giorni) di aver stabilito contatti con i ribelli libici. Sappiamo che in Italia, come noto, la Farnesina ha di fatto sospeso il trattato d’amicizia italo – libico mentre agli Esteri si misura la possibilità di un consenso italiano all’introduzione di una no fly zone sui cieli libici. Alla luce del fatto che essa non potrà che essere imposta principalmente da basi aeree su territorio italiano. La comunità internazionale ha adottato negli ultimi giorni sanzioni contro i beni della famiglia Gheddafi. Il colonnello appare sotto assedio dall’estero. Ma lo è anche in patria? Benché pochi possono contare su fonti attendibili dal campo di battaglia e nonostante ciò che ci pervenga, appaia dimostrare la fine del raìs, il tramonto di Gheddafi non è certo e la battaglia dei rivoltosi libici è tutt’altro che vinta. Perché il regime di Gheddafi è una “bestia ferita” e come tali puo’ ancora fare molto male.
Per avere qualche punto di riferimento, conviene innanzitutto capire su quali forze può oggi contare il colonnello. Perché se è vero che molte sono state le defezioni d’aria, di terra e d’aria in seno all’esercito libico, le quali principalmente si sono verificate nell’Est del paese (si ricorderanno le defezioni dei primi giorni su Malta tanto per fare degli esempi), Gheddafi può ancora contare oggi su quella che cinicamente definiremo la su “assicurazione sulla dittatura”. Nella struttura delle forze armate libiche, infatti, le milizie rivoluzionarie a diretto servizio del raìs (prima dello scoppio delle proteste esse erano stimate in ventimila unità), risultano ancora in queste ore il principale strumento in mano al raìs per rilanciare un’offensiva contro i rivoltosi.
Un’offensiva che ieri sera Al-Jazeera confermava possibile e che a sprazzi sembra già in corso sulla città e attorno a Bengasi. La contro-offensiva delle forze lealiste di Gheddafi sembra essere iniziata via cielo. Essa è passata, passa e passerà per un uso massiccio dell’ultimo grande vantaggio competitivo del colonnello: l’aviazione. Il controllo sui jet libici e le infrastrutture aeree infatti permette alle forze lealiste di trasportare truppe fresche dal Sud – dove il clan Gheddafi può ancora contare su un decente seguito popolare e militare – verso la capitale Tripoli, roccaforte del colonnello. Nella capitale le forze vengono riorganizzate e inviate nell’Est del paese a combattere le truppe e le milizie ribelli.
Ecco perché oggi la discussione europea sulla no fly zone da imporre a tutto lo spazio aereo libico risulta il vero tournant per capire se la comunità internazionale faccia realmente sul serio oppure no. In primis perché il congelamento dei beni della famiglia Gheddafi all’estero non costituisce un vero strumento di pressione sul regime, il quale è sopravvissuto “allegramente” per almeno due decenni nelle stesse condizioni di isolamento, senza per cio’ implodere. Il raìs, secondo il sito debkafile, disporrebbe ancora di miliardi di dollari in risorse personali fuori dal raggio delle sanzioni che gli consentirebbe, letteralmente, di riacquistare popolarità. E soprattutto riacquisire armi. Se non fosse un dramma politico e sociale, potremmo dire che la somma del potere del colonnello si è ridotta a cash and jet.
Se è vero che sulla possibilità di utilizzare l’aviazione, il regime di Gheddafi rimette gran parte delle proprie capacità di sopravvivenza, è altrettanto vero che il regime del colonnello mantiene anche altri vantaggi militari sui rivoltosi. Le forze lealiste possono disporre di una maggiore qualità delle milizie in campo: esse sono meglio addestrate e dispongono di tecnica militare superiore a quelle dei ribelli dell’Est libico. Ribelli che possono contare su migliaia di unità in defezioni militari, certo, ma il cui nocciolo duro consiste di “milizie spontanee”, uomini senza addestramento militare che, benché in possesso di armamenti da guerriglia urbana, difficilmente potrebbero reggere, senza aiuto esterno, all’urto di una contro-offensiva aerea e di terra da parte del regime di Tripoli, il quale dispone ancora oggi di forze speciali ben armate.
Sappiamo che consiglieri militari statunitensi, britannici e francesi sono sbarcati negli scorsi giorni a Bengasi e Tobruk per prendere contatto con i rivoltosi libici. Di pubblico dominio, inoltre, la proclamazione di un “Consiglio Nazionale” a Bengasi, presieduto dall’ex-ministro della giustizia libico, Mustafa Abdul Jalil, di fatto divenuto capo civile dei ribelli. Sappiamo che la Cirenaica è di fatto sfuggita al controllo di Gheddafi. Quella stessa Cirenaica, “infida provincia” da sempre ostile alla sua dittatura, perché dal passato monarchico.
La lotta per la destituzione del colonnello non passa solo per le risorse in campo tra le fazioni che si affrontano. Passa anche per la guerra delle informazioni, delle cifre e per quella, potentissima, della disinformazione, della dissimulazione, della manipolazione. Ma alla fine della giornata, se la comunità internazionale dovesse riuscire a imporre una no fly zone sui cieli libici, la Libia cadrebbe in una guerra civile molto più sanguinaria di quella a cui già assistiamo. Assisteremo ai regolamenti di conti, alla barbarie di una guerra di fazioni e di clan. L’imposizione di una no fly zone priverebbe certo Gheddafi dell’ultimo vantaggio competitivo sui rivoltosi, ma il caos che ne deriverebbe potrebbe avverarsi addirittura eventualità altrettanto nefasta. Questa la scelta di fronte alla quale il raìs sta mettendo l’Occidente. O me, o la guerra tribale. E domani una nuova Somalia. Difficile scegliere.