Sean Bean è il nuovo re del cinema “cappa e spada”
23 Aprile 2011
Parlando di “letteratura fantasy” si parla di un cosmo variegato e complesso, nel quale si possono tuttavia scorgere filoni, linee guida, percorsi. Di certo, non si può parlare del genere fantasy senza conoscere, almeno in parte, l’opera di un maestro come John Ronald Reuel Tolkien. E non ci riferiamo, ovviamente, ai pur bei film di Peter Jackson. Tradurre una saga dalle dimensioni e dalle implicazioni del “Signore degli Anelli” in un linguaggio adatto al cinema, non è certo facile. Inevitabili sono le semplificazioni, le spettacolarizzazioni, gli ammiccamenti ai gusti del “grande pubblico”, a cominciare dalla scelta del cast. Eppure, i film tratti dall’opera di Tolkien sono stati un successo mondiale, dimostrando che il genere fantasy è capace di farsi apprezzare anche in questo terzo millennio.
Tolkien è stato, comunque si consideri la sua opera, un autentico apripista: gran parte della letteratura di genere venuta dopo di lui ha preso tantissimo dal suo immaginario, e il successo ottenuto dai suoi romanzi ha permesso la nascita di un vero e proprio filone commerciale: basti pensare a Marion Zimmer Bradley o a Terry Brooks. Il fantasy tolkeniano è intriso di etica, di tradizione, di poesia. Tutto ciò che accade ha un suo senso morale, e le scelte che i personaggi devono compiere si iscrivono sempre nell’ampia lotta del bene contro il male. È impossibile, in Tolkien, un agire che non sia eticamente determinato.
Ma esistono anche altri filoni, altri sottogeneri. Impossibile non citare l’heroic fantasy, il cui capostipite è senza dubbio Robert Ervin Howard, autore di Conan il barbaro. Nell’heroic l’etica è meno importante, o comunque non sempre centrale. Il protagonista agisce secondo il suo istinto e i suoi valori, che non necessariamente coincidono con quelli della tradizione corrente, e il suo agire può essere persino amorale. La saggezza arriverà, ma solo grazie all’esperienza e al valore.
Allontanandosi sempre di più dall’universo tolkeniano, ci si imbatte nell’opera di Michael Moorcock, scrittore britannico che disprezza apertamente i lavori del suo insigne predecessore. Nei suoi romanzi non c’è spazio per una netta differenziazione tra il bene e il male: l’eroe che lo ha reso famoso, Elric di Melniboné, agisce spesso in modo orribile, pur essendo capace di slanci di puro eroismo. Né bianco né nero, l’opera di Moorcock si muove piuttosto tra le scale del grigio.
Oggi, tra i romanzi fantasy di grande successo, le “Cronache del ghiaccio e del fuoco” di George Raymond Richard Martin occupano un posto d’onore. Ma il loro autore, a parte le due R del nome, ha poco in comune con Tolkien: il suo fantasy è realistico, crudo, abbondano le scene di violenza e persino di sesso, descritte con dovizia di particolari: incesti, stupri, non manca davvero nulla. Ma si tratta di un’opera fantasy matura, completa e ben strutturata. Numerosi sono gli spunti storici e letterari – si possono notare somiglianze tra la vicenda narrata nei libri e la Guerra delle Due Rose, così come richiami alla saga di re Artù – la trama è ricca di intrighi politici – una componente che a Tolkien non ha mai interessato – e non mancano i tipici elementi che caratterizzano il genere e che ne hanno decretato l’enorme successo commerciale.
Perché non farne un film? Eppure, Martin ha sempre rifiutato l’idea di una trasposizione cinematografica. Le scene di nudo e di sesso, le esibizioni di violenza ma soprattutto la mole, davvero immensa, della saga rendono davvero difficile l’impresa. Piuttosto, le “Cronache” sono adatte a diventare un serial per il piccolo schermo: molti meno problemi con la censura e un tempo molto più lungo per poter raccontare gli eventi. Così è nata la serie “Game of Thrones”, prodotta dalla rete via cavo statunitense HBO, in onda dal 17 aprile di quest’anno. Tra i protagonisti il ruolo di Eddard Stark è stato affidato all’attore britannico Sean Bean, famoso per avere interpretato il principe Boromir proprio nella trasposizione cinematografica del “Signore degli Anelli”. Era stata una delle scelte più felici del casting di Jackson, risultando credibile nel ruolo e mai forzato. La speranza è che adesso non tradisca le aspettative, che sono alte: per la prima serie, di 10 puntate, si parla di un costo di una sessantina di milioni di dollari.