Ségolène: Le ragioni di una vittoria

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Ségolène: Le ragioni di una vittoria

20 Novembre 2006

Sarebbe molto ingenuo credere che Ségolène Royal abbia ottenuto una
vittoria cosi schiacciante (60,7%) alle primarie del Partito Socialista
grazie all’elemento che alcuni giornali e telegiornali italiani
presentano, invece, come fondamentale: l’essere donna. Le ragioni della
vittoria devono essere ricercate altrove.

In primo luogo,
alcuni elementi strutturali hanno favorito Royal. “Ségo” possiede una
rete efficiente di contatti con la società (in particolare attraverso
il sito e le associazioni Désir d’avenir).
Inoltre, l’apparato del partito, in gran maggioranza, si è schierato
per lei, compagna e madre dei quattro figli del Segretario del PS,
François Hollande. Il quale, dietro una finta neutralità, ha sostenuto
sin dall’inizio la candidatura di Royal: dopo aver rivendicato un ruolo
d’arbitro, all’inizio della campagna interna salutò la prestazione
della sua compagna come una candidatura che “si era incontestabilmente
insediata”. Non a caso, Ségolène ha registrato i migliori risultati
(più dell’80% dei voti) nei dipartimenti di cui lei e il compagno sono
deputati, Deux-Sèvres e Corrèze. Accanto a Hollande, l’hanno sostenuta
anche i principali elementi dell’apparato (il numero due del PS, il
portavoce, i presidenti dei gruppi parlamentari, più della metà delle
federazioni, tra le quali le quattro principali). A questo il fatto si
deve aggiungere la considerazione che ben un terzo dei votanti si sono
iscritti assai recentemente (dal 2005). Nell’ignoranza del profilo
socio-politico di questi nuovi aderenti, dovuto anche al sistema di
iscrizione economico via internet, sorge il dubbio che il loro voto
abbia giocato a favore di Ségolène.

In secondo luogo,
non si deve sottovalutare il “fantasma” del 2002, quando Jospin non
passò al secondo turno delle elezioni presidenziali. Ieri sera,
all’uscita dalle urne, molti militanti hanno affermato di preferire
Dominique Strauss-Kahn, il candidato dell’ala social-democratica del partito,
ma di aver votato per Ségolène perché è la candidata che secondo loro
avrà più chance di vincere la corsa all’Eliseo e al fine di evitare di
mostrare un partito lacerato da querelle interne. Il voto è dunque stato anche un voto “utile”.

In
terzo luogo, il fatto stesso di aver organizzato le primarie in questo
modo è rivelatore di un dato che non deve essere sottovalutato: la
grande difficoltà del socialismo francese ad esprimere una leadership.
Non a caso, benché il principio delle primarie sia stato inserito negli
statuti del PS sin dal 1994, nelle due edizioni precedenti (1995 e
2001), la competizione era passata abbastanza inosservata e, in
entrambi i casi, Jospin si era imposto senza grandi difficoltà. Dopo il
suo ritiro inaspettato all’indomani della clamorosa sconfitta del 2002,
nessun altro leader è riuscito ad imporsi alla maggioranza di un
partito in crisi di identità. Questo “vuoto” ha permesso ad una donna,
che non ha costruito la sua candidatura con un percorso classico
all’interno del partito (non vi ha mai ricoperto cariche di rilievo),
che ha un’esperienza di governo discreta ma non eccezionale (è stata
deputata, ministro dell’ambiente dal 1992 al 1993, ministro delegato
dal 1997 al 2002 all’Istruzione pubblica e alla Famiglia), e che non
presentava idee sino a quel momento molto condivise (rivendica una
vicinanza con il blairismo), di presentarsi come candidato credibile.

Infine,
non si può negare che la sua ascesa (spingendo il partito ad accettare
e rivendicare delle posizioni di un socialismo di destra) e la sua
candidatura non rappresentino una novità per un partito abituato a
temere più di ogni altra cosa di lasciare spazi politici aperti alla
sua sinistra e di scostarsi dal “politicamente corretto” del socialismo
francese, che utilizza toni massimalisti per nascondere spesso
posizioni più moderate (il buon risultato raggiunto da Strauss-Kahn,
all’americana DSK, conferma, del resto, quest’evoluzione del PS).
Proprio i dibattiti televisivi della campagna per le primarie hanno
mostrato una candidata che non sembra possedere la visione globale
della politica necessaria ad un buon capo di stato, che è a suo agio
più sulle questioni dei diritti civili che su quelle economico-sociali
o di politica estera. Inoltre, i sondaggi svolti all’indomani dei
dibattiti presso i simpatizzanti (e non militanti), hanno evidenziato
perdite di consensi di Ségo a favore innanzitutto di DSK. Ciò induce a
relativizzare l’importanza delle idee nella scelta fatta dai militanti.
Più delle idee, i fattori più tangibili della sua vittoria sono il suo
stile, la sua libertà di tono e l’immagine del rinnovamento che ha
portato con se rispetto a due candidati che da tempo calcano le scene
del PS e della politica francesi.

Col senno del poi, si
potrebbe anche dire che queste primarie sono state una messa in scena
volta a rafforzare una candidatura già decisa. In realtà, in parte un
vero dibattito c’è stato e l’impegno degli altri due candidati nonché
la loro delusione di fronte ai risultati ne sono la testimonianza.
Tuttavia, ben prima dello svolgimento delle primarie il PS aveva già
stabilito il proprio programma: oltre al fatto che, al di là delle
novità introdotte da questa scelta cosi mediatizzata della candidatura
socialista, molti retaggi della vecchia cultura socialista sono rimasti
tra le righe di questo, l’aver fissato in precedenza i punti
programmatici ai quali il candidato socialista dovrà attenersi attenua
di molto il significato delle primarie e l’evoluzione del PS in un
“partito del presidente”.